Nuova fondazione ad Assisi
LORENZO PREZZI
intervista ENZO BIANCHI
Abbiamo inaugurato la vita monastica di cinque fratelli a San Masseo (Assisi), un luogo abbandonato da anni che abbiamo restaurato
Testimoni, n°3 - 2012
LORENZO PREZZI
intervista ENZO BIANCHI
La comunità di Bose ha aperto il 22 ottobre scorso una fraternità monastica a San Masseo (Assisi). Aprire nuove fondazioni è sintomo di fecondità e di vita. Quella di Assisi si aggiunge a Ostuni e a Gerusalemme. Con quali criteri, avvertenze spirituali e occasioni ecclesiali la comunità di Bose affronta questi eventi?
Abbiamo inaugurato la vita monastica di cinque fratelli a San Masseo (Assisi), un luogo abbandonato da anni che abbiamo restaurato in vista di una fondazione che si aggiunge a quelle di Gerusalemme (1982) e di Ostuni (Brindisi, 1998). E tra qualche mese, terminati i lavori di restauro, apriremo una nuova fraternità a Cellole (Siena). Questa audacia ci è richiesta dal numero elevato di fratelli e sorelle presenti a Bose, più di 70; la nostra vita fraterna comunitaria abbisogna invece di un numero più contenuto. Spesso dico: «Se siamo troppi, attorno al camino non c’è caldo per tutti!». D’altronde, molti mi hanno rimproverato di aver ritardato così tanto la fondazione, e forse hanno ragione. Ma io resto convinto che, per dare inizio a una vita monastica, occorre inviare persone mature, formate, che abbiano alle spalle almeno dieci anni di vita comune; altrimenti – e oggi lo si può verificare facilmente – le fondazioni restano fragili e vivono in modo troppo precario.
Quanto ai criteri per le fondazioni, noi teniamo conto di alcuni principi. Innanzitutto, per ora non accogliamo i molti inviti a fondare che ci vengono dal terzo mondo: temiamo di non essere preparati, di portare un monachesimo troppo occidentale, di non fare un’opera evangelica schietta. Accogliamo invece, dopo un discernimento attento, l’invito di alcuni vescovi. A Ostuni è stato il vescovo Settimio Todisco a invitarci e a indicarci un luogo; ad Assisi è stato il vescovo Sergio Goretti a insistere perché ci fosse una nostra presenza, e così anche in diocesi di Volterra. Inserendoci nella chiesa locale e obbedendo alla comunione, non possiamo fondare se non su invito o approvazione del vescovo. Anche molti vescovi francesi ci chiamano nelle loro diocesi e ci offrono luoghi per la nostra vita. Stiamo valutando queste proposte, se non per l’oggi, almeno per il futuro: con la chiesa francese, infatti, sentiamo grande consonanza e io, in particolare, sono sovente chiamato dai vescovi nelle loro diocesi per tenere la lectio divina e conferenze su vari temi, così come dai monasteri benedettini e trappisti per gli esercizi spirituali.
La fraternità, come la comunità, non ha pretese: vuole vivere una vita monastica frutto di fraternità, lavoro, preghiera e accoglienza discreta, come a Bose. Non ha compiti ecclesiali, né pastorali, né culturali: per vivere, alla fraternità bastano – come diceva sant’Antonio – «le Sante Scritture, cioè il Vangelo, e la libertà».