Caro Diogneto - 41

JESUS, maggio 2012
di ENZO BIANCHI
Si tratta di imparare e di compiere lo stesso cammino percorso da Gesù nella sua esistenza terrena: incontrare gli uomini in modo umanissimo, essere persone affidabili, la cui umanità è credibile, essere presenti agli altri

JESUS, maggio 2012
di ENZO BIANCHI

Credere nell’altro è un atto di fede umana, dal quale dipende la qualità della convivenza umana, la resistenza alla barbarie, tentazione ricorrente per tutta l’umanità. E l’altro è soprattutto il diverso, lo straniero, grande metafora dell’alterità… Oggi dovremmo re-imparare a credere nell’altro, investendo molte forze per una rieducazione a questa fiducia: gli ultimi decenni sono stati segnati proprio da un venir meno della fede, dal rifiuto radicale di credere, dal rifiuto dell’atto della fiducia come atteggiamento umano. In questa situazione, come possiamo scandalizzarci della crisi della fede in Dio? Se l’atto umano della fede è così fragile, debole e contraddetto, come potrebbe essere facile il credere in Dio? Parafrasando un’affermazione della Prima lettera di Giovanni, potremmo chiederci: se non sappiamo credere nell’altro che vediamo, nell’uomo, come potremo avere fede in Dio che non vediamo (cf. 1Gv 4,20)?

Nello stesso testo l’autore dà una definizione lapidaria dei cristiani: «Noi crediamo all’amore» (1Gv 4,16). I cristiani dovrebbero essere esattamente questo: persone che credono all’amore e che accolgono il dono della fede come risposta alla Parola di Dio, quella «fede» che «nasce dall’ascolto» (Rm 10,17). La fede è dono di Dio – san Paolo ricorda che: «Non di tutti è la fede» (2Ts 3,2) – e abita soltanto coloro cui Dio l’ha donata. Essa però si innesta solo sull’umanità dell’atto di fede, sulla capacità dell’uomo di credere: «Non è Dio, ma l’uomo che crede», ha affermato giustamente Karl Barth, e solo chi sa fidarsi di qualcuno può accogliere il dono della fede in Dio!

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