Caro Diogneto - 45

JESUS, settembre 2012
di ENZO BIANCHI
Gesù non parlava di un Dio grande, onnipotente, vittorioso e che dunque si impone agli uomini, lo accolgano o non lo accolgano: parlava di un Padre

Gesù parlava di molte cose in parabole

JESUS, settembre 2012
di ENZO BIANCHI

Annota il vangelo secondo Matteo: “Gesù parlava di molte cose in parabole” (Mt 13,3). Sì, parlava di “molte cose” e in “parabole”. Di molte cose significa che Gesù non consegnava formule, verità codificate, ma parlava della realtà, di ciò che è quotidiano, di ciò che accade nella vita di uomini e donne. Mai nei vangeli sinottici Gesù consegna agli altri discussioni teologiche su Dio o formule su Dio, anzi di Dio parla poco… Ne parla solo perché emerga un’immagine diversa da quella preconfezionata trasmessa dai dottori della legge, perché emerga quell’immagine che si poteva riscontrare, leggere, decifrare nella sua vita umanissima e quotidiana, mai straordinaria, mai volta a incantare o a sedurre.

Gesù parlava di Dio nelle parabole senza nominarlo. Non aveva in bocca la parola “Dio”, utile in ogni dialogo, non aveva l’ansia di nominarlo a tutti i costi, parlando di Dio alla terza persona. Nelle parabole – possiamo dire – si trova una parola “non religiosa”, una parola che indicava alla mente degli ascoltatori cose ed eventi umanissimi, terrestri: un fico che mette i germogli in primavera, del lievito che fa lievitare la pasta, un padre che attende e perdona il figlio perduto, un pastore che perde e ritrova una pecora, un agricoltore che semina il grano, dei vignaioli che lavorano una vigna… Parlava di uccelli e di lupi, di perle e di pesci, di sole e di vento, di canne e di piante aromatiche. Racconti, narrazioni in cui Dio non è il protagonista né uno dei personaggi, ma che, una volta ascoltati con gli orecchi e meditati nel cuore, potevano comunque far capire qualcosa dei sentimenti, delle attese, delle azioni di Dio, di quello che Gesù chiamava il Regno di Dio.

Possiamo pensare che a volte venissero rivolte a Gesù delle domande su Dio, eppure egli non rispondeva con formule, non forniva certezze, ma rimandava all’esperienza umana, alla storia e alla microstoria in cui gli uomini e le donne sono coinvolti. Quasi a dire: “Aderite alla realtà, guardate con gli occhi, ascoltate con gli orecchi, cercate, pensate, interrogate!”. Non c’era mai in Gesù l’ansia di fornire risposte catechetiche, di annunciare dogmi, di indicare leggi morali ferree: parlava in parabole, parlava di molte cose… “Non parlava come gli scribi”, annotano i vangeli, ma “parlava con autorevolezza” (cf. Mc 1,22 e par.), senza ricorrere al linguaggio degli addetti alla religione. Tra le cause dell’opposizione di scribi e sacerdoti a Gesù va annoverato anche questo suo linguaggio umanissimo che sconcertava in bocca a un predicatore, perché egli non diceva quello che tutti dicevano per professione e non ripeteva quello che era stato detto e che veniva chiamato tradizione (cf. Mc 7,9.13; Mt 15,3.6).

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