Commento al Compendio del Catechismo - 34
di ENZO BIANCHI
Le distrazioni non tolgono efficacia alla preghiera, perché essa resta un atto di amore fatto con gratuità. Certamente occorre lottare contro di esse, ma senza farne un’ossessione: occorre saperle integrare nella preghiera, “gettarle in Dio” (cf. 1Pt 5,7), cioè trasformarle in occasioni di preghiera.
Quali sono le difficoltà della preghiera?
La distrazione è la difficoltà abituale della nostra preghiera. Essa distoglie dall’attenzione a Dio, e può anche rivelare ciò a cui siamo attaccati. Il nostro cuore allora deve tornare umilmente al Signore. La preghiera è spesso insidiata dall’aridità, il cui superamento permette nella fede di aderire al Signore anche senza una consolazione sensibile. L’accidia è una forma di pigrizia spirituale dovuta al rilassamento della vigilanza e alla mancata custodia del cuore.
(Compendio del Catechismo n. 573)
Avere distrazioni fa parte della psiche umana e ci vuole molto esercizio per imparare a concentrarsi unificando la mente, il cuore e il corpo. È normale che anche durante la preghiera sorgano distrazioni: le preoccupazioni, gli echi della vita quotidiana, così come le molte presenze che abitano nelle nostre profondità, emergono e si manifestano con forza non appena si entra nella solitudine e nel silenzio necessari alla preghiera.
Pregando, è inevitabile che si incontrino distrazioni, ma esse non possono essere una scusa per non pregare: le distrazioni non tolgono efficacia alla preghiera, perché essa resta un atto di amore fatto con gratuità. Certamente occorre lottare contro di esse, ma senza farne un’ossessione: occorre saperle integrare nella preghiera, “gettarle in Dio” (cf. 1Pt 5,7), cioè trasformarle in occasioni di preghiera. Si tratta spesso di capovolgere le distrazioni in occasioni di preghiera: questa ci perderà in unità, ma ne beneficerà in ricchezza.
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