Caro Diogneto - 58

Jesus, ottobre 2013
di ENZO BIANCHI
La coscienza è lo spazio per pensare davanti a Dio, per pregare, per ascoltare la sua voce, per conoscerlo e per conoscersi meglio

 

Jesus, ottobre 2013
di ENZO BIANCHI

IL PRIMATO DELLA COSCIENZA

Nella lettera aperta di risposta a Eugenio Scalfari, papa Francesco ha affermato: “La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire a essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”. Parole  che hanno suscitato qua e là sorpresa, come fossero una novità nel pensiero cristiano. Invero, così il Vaticano II raccoglie esplicita la consapevolezza ecclesiale: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo” (GS 16). Affermazioni approfondite e ribadite da allora in diverse occasioni anche dal magistero papale.

La coscienza è la voce di Dio in ogni essere umano creato a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,26-27), capax boni et capax mali. Sicché per ogni persona il criterio ultimo e definitivo del proprio pensare, parlare e agire scaturisce dalla coscienza. Ma se la coscienza fosse erronea? Sarebbe comunque obbligante, perché essa è eco della Parola di Dio che risuona nell’intimità pur sempre limitata e condizionata dell’uomo. Nel suo essere eco dello Spirito santo, la coscienza è però riflessa dalla libertà di cui ogni persona è dotata, libertà sempre condizionata dalla stessa condizione umana. Siamo tutti consapevoli di quanto su ciascuno di noi pesino sempre vari condizionamenti: la storia sociale, familiare, personale, le strutture che ci plasmano, la cultura in cui siamo immersi e infine, nel linguaggio cristiano, le alterazioni dovute al peccato.

Una coscienza erronea non scusa in modo sistematico l’autore dell’azione malvagia, perché una coscienza morale deve essere costantemente esercitata, rischiarata, capace di ascolto e di confronto, disponibile a essere messa in questione. Questo impegno e questa fatica non permettono l’autosufficienza, l’evasione, la prevenzione. In merito vi è un principio decisivo: quando una persona continua a ripetere la stessa azione cattiva verso gli altri o verso di sé, poco per volta la sua coscienza morale si indebolisce, perché quando uno agisce non come pensa sia bene, finisce per pensare come continua ad agire, anche se il suo agire è male. La coscienza in tal modo diventa erronea, e questo è responsabilità di chi lo permette.

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