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Omelia per la memoria dei morti

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2 novembre 2014

Rainer Maria Rilke, nel suo Libro della povertà e della morte esprime questa preghiera:

Signore, dona a ciascuno la sua propria morte:
una morte che sia veramente uscita da questa vita
in cui ciascuno ha trovato l’amore, un senso e la sua angoscia.

Noi oggi, in questa memoria dei morti, proprio per sentirli in comunione con noi, per renderli vicini e solidali, dobbiamo meditare non tanto sulla morte, ma ciascuno sulla propria morte che lo attende. Questa conoscenza della propria morte è decisiva nella nostra vita umana per molte ragioni. Innanzitutto perché la propria morte dà valore alla vita, che resta una e unica per noi tutti: noi non abbiamo altre vite a disposizione, è un’illusione pensare che ci sarà data un’altra vita o un’altra maniera di vivere. E proprio perché la vita è unica e una, allora diventa una grande responsabilità, ma una grande responsabilità verso gli altri con i quali viviamo.
È pensando alla nostra propria morte che assumiamo lucidamente la nostra propria vita, e possiamo pensarla non come qualcosa che riguarda solo ciascuno di noi, ma riguarda gli altri, perché senza gli altri non c’è possibilità di vita. Questo non è un pensiero ideale, filosofico, religioso, ma fa parte della conoscenza che noi abbiamo dell’uomo: l’animale si è fatto uomo attraverso la relazione con gli altri, è stato con-creato dalle relazioni con gli altri, e non è mai esistito un uomo senza relazioni con gli altri, ma soltanto un animale.

ikebana per la memoria dei morti
ikebana per la memoria dei morti

Sui cammini dell’esistenza solo nella relazione con gli altri noi ci umanizziamo e riusciamo a vivere con un senso, trovando un significato per noi, trovando un significato per gli altri, trovando un significato per questa terra. Anzi, sono proprio gli altri ed è propria questa terra che ci aiutano a scoprire il senso e il significato nella nostra vita personale. In questo senso, a tutto ciò che è personale, proprio, occorre anteporre gli altri, occorre anteporre i fratelli e le sorelle con cui realmente viviamo; alla propria storia personale occorre anteporre la storia nella quale ci sono le relazioni e non solo la nostra relazione.
C’è una parola di Paolo che purtroppo non è mai entrata all’interno dell’ecclesiologia, neanche in questo secolo in cui sull’ecclesiologia molto si è cercato e molto si è scoperto. Paolo sta parlando della chiesa quando dice che nella comunità cristiana siamo chiamati “ad commoriendum et ad convivendum” (2Cor 7,3). Notate l’ordine dei termini: noi siamo chiamati a morire insieme e, di conseguenza, a vivere insieme. E se è vero che ciascuno ha la sua propria morte, è l’evento della nostra propria morte che ci lega a quelli che hanno già avuto la loro propria morte, con i quali noi abbiamo vissuto, e a quelli con cui viviamo, che sono attesi dalla loro propria morte.
E per noi che crediamo, e crediamo in Gesù Cristo che è morto ed è stato sepolto – come dice il Credo –, il morire è un cammino con lui: lui ci precede nella morte, ci precede nella sepoltura, ma ci precede, essendo lui risorto, per attenderci con le braccia spalancate, per abbracciarci e portarci con sé per sempre nella vita eterna. È in lui che noi troveremo quelli che abbiamo amato, perché quelli che abbiamo amato ci sono stati dati dal Signore come prossimo, come possibilità di incontro faccia a faccia; ci sono stati dati perché noi facciamo storia, perché diventiamo più uomini e più donne, e quindi possiamo realizzare la vocazione che il Signore ci ha dato a partire semplicemente dall’averci chiamati in vita.
Ecco perché, nel ricordare oggi quanti sono morti e quanti tra i morti sono ancora presenti nel nostro amore – genitori, fratelli, sorelle, persone amate –, noi sentiamo la convocazione ecclesiale, in attesa di quella comunione senza ombre, senza divisioni, una comunione trasparente che ci attende in Cristo, il nostro Signore risorto. Non dimentichiamo questa visione ecclesiologica della comunità: come cristiani siamo chiamati a morire insieme e a vivere insieme.

ENZO BIANCHI