Venerdì santo
Omelia di ENZO BIANCHI
Questa insensatezza del male è la responsabilità di ciascuno di noi e la responsabilità comune. Gesù sa, perché si è esercitato a vedere, si è esercitato ad ascoltare, si è esercitato a uscire da se stesso e dal proprio io minimo e ingessato per raggiungere l’altro. È questo che può rendere eventualmente un cristiano profeta, non i doni intellettuali che sono un ingombro, perché quelli portano il profeta a sedurre, non a convertire; non i discorsi sapienti, ma un esercizio, un esercizio di vista, di ascolto, di uscita da se stesso ai bordi, ai confini, giorno e notte
Omelia di ENZO BIANCHI
per la Liturgia della croce
Gv 18,1-19,37
Ascolta l'omelia:
Anche oggi Dio ci ha parlato e noi abbiamo ascoltato la sua Parola. Si tratta ora semplicemente di ruminare in noi questa parola, di considerarla, in modo da prolungare la nostra assiduità con la Parola che ci dà la vita.
In questa liturgia l’unità delle tre letture è evidente. Nel profeta Isaia (cf. Is 52,13-53,12) viene presentato dal Signore il suo Servo, un Servo che ha successo, un Servo che trova consenso, un Servo che viene esaltato, potremmo dire un Servo la cui missione è veramente compiuta. Ma ecco che improvvisamente questo Servo così glorificato, così esaltato, diremmo così accolto da tutti, viene presentato come un Servo che non ha bellezza né splendore, un Servo che in realtà non attira, un Servo che non ha un parola, che è diventato afono e muto: se aveva una parola, l’ha persa, se aveva un volto che poteva richiamare gli sguardi a lui, ora ha un volto dal quale ci si allontana con lo sguardo. È il volto di qualcuno che ha perso la sua forma, non è neanche più un volto. Girolamo, con la sua intelligenza spirituale, finisce per tradurre, non certo fedelmente all’ebraico: “Nos putavimus eum quasi leprosum”, “lo abbiamo ritenuto come un lebbroso” (Is 53,4 Vulg.), il lebbroso che fa ribrezzo, il lebbroso la cui vista è insostenibile. Ma come è possibile, come è possibile tutto questo? E alla presentazione che il Signore fa del suo Servo, ecco che intervengono le moltitudini, le quali sommessamente cominciano a interrogare se stesse: come è possibile? Come è possibile?