Ricordo di Arcabas

Madonna del Buon Discernimento donata per la chiesa di Cellole da Arcabas e sua moglie Jacqueline l'8 febbraio 2013
Madonna del Buon Discernimento donata per la chiesa di Cellole da Arcabas e sua moglie Jacqueline l'8 febbraio 2013

Il pittore francese Arcabas (Jean-Marie Pirot), maestro dell'arte sacra del Novecento (soprannominato il "pittore della fede felice"), caro amico da molti anni di fr. Enzo e della comunità, è passato da questo mondo al Padre, a 91 anni, il 23 agosto, nella sua casa di saint-Pierre-de-Chartreuse, attorniato dai suoi figli Isabelle e Etienne.
Riposa nel suo atelier fino a martedì 28 agosto, giorno dei suoi funerali a saint-Hugues-de-Chartreuse, la piccola chiesa dove si trovano le sue pitture più amate.
Mentre lo ricordiamo con vivo affetto e la nostra preghiera, in sua memoria pubblichiamo l'intervista-incontro tra fr. Enzo e Arcabas del 9 luglio 1999, pubblicata sulla rivista Luoghi dell'Infinito del maggio 2000.


arcabas - Io non sono un uomo della parola. Sono stato un professore, e dunque da quel verso ho dato il mio contributo; ma il linguaggio verbale non è il mio forte. Più invecchio, più mi rendo conto che le parole sono per me degli handicap. Sono come pietre che costruiscono, da qualche parte nello spazio, dei campi di concentramento che io mi trovo costretto a mettere a soqquadro, e a tirar calci lì dentro, per ritrovare una sorta di verginità della sensazione, del ricordo della mia infanzia e di tutto ciò che è l'humus reale del mio mestiere, del mio lavoro di pittore. E meno parlo, meglio sto!

enzo bianchi - Ma allora perché, nel campo della parola, si è giunti ad avere un certo rinnovamento dell'arte con una linfa cristiana, mentre nella pittura è così difficile? In fondo, direi che sono rarissimi i pittori che possono raffigurare il mistero. Io conosco solamente Chagall, Rouault, e ora lei. Lo dico francamente: non ne conosco molti che abbiano avuto questa capacità di accedere al mistero di Dio, al mistero cristiano, con un'arte che sia capace di far presentire il mistero, di far presentire una presenza.

a. - Non so se riesco a fornire la ragione di questa défaillance degli artisti nei confronti della fede. Lei ha parlato di Rouault, ha parlato di Chagall, per limitarci all'epoca contemporanea, e io noto che sono artisti che avevano la fede. Ma lei sa che, quando i domenicani hanno fatto il plateau d'Acy, avevano deciso che se ci doveva essere "arte sacra", non ci poteva essere "sacro" se prima non c'era, realmente, "arte". Ecco perché si sono rivolti ad artisti di varia estrazione, tra cui Chagall, Rouault, Matisse, Léger, per esempio, e altri che indubbiamente non erano persone credenti. Era per dare una prova che non si può entrare nel sacro, noi artisti figurativi, se non si fa prima, realmente, dell'arte. E' molto importante. Perché di cattiva arte ce n'è stata a sufficienza...

e. b. - Troppa anche nell'ambito ecclesiale!

a. - Ecco, lei sostiene che c'è stato un rinnovamento del linguaggio cristiano: è possibile. Io non ne sono convinto. Vorrei che questo linguaggio fosse contrassegnato, per tutti i non credenti che conosco, dalla generosità dei credenti di scendere ancora uno o due gradini, per andare a cercare i non credenti; che fosse un linguaggio ancora un po' più semplice. Perché, finché siamo tra noi credenti, si può fare lo sforzo di comprendere delle cose anche piuttosto difficili: si sa perché lo si fa. Ma per le pecorelle che attendono, che non sono nel medesimo ovile e che vogliono andare verso il loro pastore, c'è bisogno di un linguaggio, non che le raggiunga, ma che le chiami. Non è la stessa cosa.

e. b. - No. Ma pensavo soprattutto al fatto che vi sono poeti cristiani, che vi sono uomini che hanno scritto opere letterarie cristiane. Ce ne sono anche nella musica, oggigiorno: Arvo Pärt e tutto il movimento dei paesi baltici. Ma non è la stessa cosa nella pittura.

a. - Ebbene, io l'attribuisco alla caduta della fede in generale. Vede: ci vuole coraggio, da me in Francia, a portare una catenina con una croce (piuttosto grande), che io metto abitualmente sulla camicia, per dire al mio interlocutore, senza bisogno di parole: "Io credo in Dio". E' una cosa che si avverte, oggi: non appena si mette dell'oro su un quadro, non appena si ha una sonorità musicale di una certa qualità, la gente fugge, se ne va. Dice: "E' religioso! Me ne sto alla larga...". A partire dalla rivoluzione francese, c'è stata una sorta di declino progressivo della fede che fa sì che tra i pittori, più ancora che tra i musicisti, più ancora che tra i letterati, ci sia stata una fuga. E' a questo che attribuisco la povertà dell'arte sacra al giorno d'oggi. Ma c'è di peggio. Nell'arte contemporanea gli artisti dicono: "La bellezza... Io non mi occupo della fede!". Ora, se c'è una cosa che vale, e che sorpassa tutte le altre, è il ritrovare il senso trascendente della bellezza. E' di importanza capitale: altrimenti non c'è arte...

e. b. - Nei suoi quadri, nelle sue opere, quel che mi colpisce, è questa "grammatica della trasfigurazione delle cose". Se vedo un quadro come Emmaus, le cose sono là, ma tutto è già trasfigurato. E si ha allora l'impressione di ritrovare la profondità di una presenza, di un qualcosa che non è detto, il non-detto, che ci porta davvero a un sentimento che ci apre a una presenza che viene da altrove.

a. - Ma questo è un complimento inaudito che lei fa all'essere che io sono. Non posso risponderle su questo. Ne sono incapace. Ecco, io devo vivere la mia vita come essere. Ciò che dico, non sempre è cosciente. Certo, ho un progetto: con un mestiere del genere, si deve avere un progetto; si deve dire: "Voglio fare la tal cosa". Ma essa nasce in me, e prima di sapere che voglio fare la tal cosa, c'è tutto un tempo del quale io non posso parlare e di cui non sono responsabile. Così come non sono responsabile della presenza di cui lei parla, che è in questi quadri. Io non la conosco. Io ho una sola cosa da fare: fare bene ciò che devo fare, il più vicino possibile al mio sentire impalpabile e intuitivo. E quando faccio questo, arrivo a quello. E se lei trova che lì dentro c'è quello, allora grazie, mio Dio!

e. b. - Ciò che trovo nelle sue opere - glielo dico francamente - è questa "grammatica della trasfigurazione"; c'è poi un silenzio che non è un silenzio muto, ma è il silenzio del non-detto; e, all'interno di questo, l'emergere di una presenza. Sono tre elementi che ritrovo ovunque. Se penso a questo Emmaus, o all'Annunciazione, o a questo Gesù fra i dottori, e soprattutto alla Visitazione... Lei ha una capacità straordinaria di far sì che, realmente, ciò che è scritto nell'Evangelo non sia raccontato come in una icona, ma vada all'interno del cuore. E là esso lascia lo spazio perché gli occhi raccontino a partire dalle tracce che lei ha affidato al quadro.

a. - Sì. Ma io trovo, in quanto emittente (sono io che emetto, che propongo), che colui che si trova all'altro capo del mio filo, l'altro di là che va a guardare, ha tutto compreso ciò che volevo esprimere. Allora, grazie! La ringrazio del suo sguardo, perché lo sguardo che lei ha mi fa esistere.

e. b. - Vorrei che lei mi dicesse una cosa. Quale rapporto c'è tra la Scrittura, la santa Bibbia, l'Evangelo, e le sue opere? Come stabilisce lei questo rapporto? Poiché si vede bene che le sue opere sono realmente qualcosa che è generato dall'Evangelo. Quale presenza ha dunque l'Evangelo, la Bibbia, nella sua vita, e come diventa pittura?

a. - Innanzitutto, ho la fede. E poiché ho la fede, che non è una conquista definitiva, leggo l'Evangelo e la Bibbia sempre con una grandissima gioia. E quando ho un soggetto che mi assilla, apro il libro sacro e mi accorgo che, leggendo il brano che concerne l'opera che intendo fare, due ore dopo sono ancora là che leggo il seguito. Come se leggessi un giornale. Per me, in fin dei conti, l'Evangelo è un reportage dell'altro ieri. Ciò significa che è presente: fa parte della mia vita contemporanea. E' qualcosa che è accaduto ieri e, per ciò stesso, acquista uno straordinario rilievo esistenziale. Perché ciò che è scritto là, e che è accaduto duemila anni fa, in realtà è accaduto avant'ieri. Questo dunque conferisce alle cose, come dire?, un'esistenza contemporanea che io cerco di tradurre nei miei quadri. Forse è questo; ma può anche non esserlo... Forse è solamente il suo sguardo che raggiunge il mio.

e. b. - In questa ricerca che è la fede, e che è una vicinanza alla Scrittura, si ha l'impressione, guardando i suoi quadri, che essi siano il frutto di una contemplazione nel presente. Si pensa sempre che la contemplazione sia vedere Dio. Nel suo caso, mi sembra che lei abbia la capacità di vedere le realtà umane in uno spazio che porta lo sguardo di Dio. E non il contrario. Per esempio, se ci sono degli elementi che sono diventati natura morta (come i dettagli della tavola di Emmaus), tutto ciò è davvero una contemplazione delle cose. Ma non delle cose che, a partire da ciò che esse sono, si trasformano. Bensì: lei dà un altro sguardo sulle cose... E questi colori, questo tipo di luce che lei ha, sembrano, ancora una volta, venire da altrove.

a. - Lei pensa che io sia in grado di darle una risposta a questa domanda?

e. b. - No, non voglio che mi dia una risposta. Vorrei che lei mi dicesse se questa luce, se questi colori che lei dà, li prende dentro di se stesso. Da dove vengono?

a. - Non c'è risposta... Da dove vengono?... Io sono abitato da questa luce, certamente. Ma non sono solo. Ho imparato anche da tutti i grandi pittori (che forse sono ancora in vita, ma in ogni caso sono morti piuttosto di recente: Picasso, Braque, Manessier...). Costoro mi hanno insegnato molte cose, è certo. E poi, ho un appetito del mio mestiere: quando entro nel mio atelier e sento l'odore della trementina, io sono già nello stato di lavorare. La materia è qualcosa di amichevole per me, che devo trattare con molto riguardo, perché essa ha già una forma. La intendo quasi filosoficamente: essa ha la sua forma di esistenza, anche allo stato bruto. E bisogna che ci sia tra lei e me una sorta di amicizia perché si pieghi alle mie esigenze. Essa riceverà un'altra forma, diversa dalla sua, una forma che io le imporrò; e ritengo che meriti tutto il mio rispetto per accettare questo di buon grado.

e. b. - E i colori? Che mi dice dei colori?

a. - I colori sono il più bel dono di Dio, per me pittore. Mi rapiscono. Mi immergono in un mondo di domande e mi impongono un grande rispetto. Io sono uno che ama il colore e lo tratta con gusto. Intendo dire gusto quasi come quando si mangia. Perché è come se si dicesse che fare una nota di musica su un pianoforte sia fare musica. Un colore non è nulla in se stesso, da solo. Ma quando si pone un secondo colore accanto, allora avviene come quando ci si mette al piano e si fa una nota e poi un'altra...

e. b. - Come diceva Rimbaud: "Le note, ciascuna ha un colore. Da sole non dicono nulla, messe insieme fanno una melodia".

a. - Sì, ed è straordinario questo. Perché, a partire dal secondo colore, anche se si ha un progetto, vi sono delle induzioni, non automatiche ma intuitive, profonde, che si susseguono. Vale a dire che il terzo colore sarà determinante. A partire dal terzo colore viene un complesso. E questo complesso, rispetto all'idea che io ho, finisce per evolvere; non sempre nel senso in cui io ho cercato di immaginarlo. C'è una logica interna che fa sì che le cose avanzino in una sorta di avventura che io non so come andrà a finire.

e. b. - Che dice di questo Cristo che lei raffigura sempre come una presenza elusiva? Sembra sempre essere l'uomo che viene da altrove. Non è mai veramente inquadrato. Come in Emmaus: viene e va, al tempo stesso. Lo si vede bene in questo Emmaus.

a. - In Emmaus, sì. Perché in Emmaus sto raffigurando il momento in cui egli spezza il pane. Del resto quasi tutti i miei Emmaus sono così. Ed è il momento in cui i due compagni scoprono che avviene qualcosa. Ed egli sparirà, appena benedetto il pane. Si rivela e al tempo stesso si sottrae...

e. b. - E il suo rapporto con Cristo, con Gesù? Mi dica: chi è per lei Cristo Gesù?

a. - (sorpreso) E' una grande domanda! Gesù: è la mia risposta a Dio. Ed è l'esigenza di una risposta ferma, perché egli era là in carne e ossa. Io credo che non farei arte sacra se non ci fosse stato Gesù. Non posso rappresentare Dio, perché non ne ho nessuno schema. Data la sua grandezza, la sua immensità, la sua molteplicità, io non ho un'idea di Dio, e non sarei lontano dal dire, come fanno gli ebrei, che Dio è l'Innominabile. A malapena si ha l'ardire di pronunciarne il Nome. Tale è l'idea che ne ha l'Antico Testamento. Ma la venuta e l'incarnazione di Gesù permettono a un pittore di esprimersi su tutte le domande della fede, dal momento che Dio è, non dico sullo sfondo, poiché è ovunque, ma presente appena al di là della persona di Gesù. E Gesù, in realtà, induce tutto, tutto ciò che segue, tutto il resto, tutto ciò che mi riempie.

e. b. - E' dunque anche una risposta che lei sente per gli uomini. Di fronte alla morte, per esempio.

a. - (esita) Non so. La morte... ci penso spesso. Penso pochissimo all'eternità, talmente sono occupato, non oserei dire dell'imitazione di Gesù Cristo, ma di essere in regola con quello che egli ci dice che dobbiamo essere. E io non lo sono. Di gran lunga no. Ma in quanto pittore e artigiano, in quanto manipolatore di cose e di materie, l'unica via di uscita, per me, è di dirmi, quando non lavoro: "Perché non lavori?", e di poter dire l'ultimo giorno (e questo lo dico come una battuta), quando mi presenterò a san Pietro, con tutti i miei peccati: "Tenete conto che ho passato la mia vita a lavorare e a cercar di pensare sempre a far fruttificare il talento che mi è stato dato". Questo gli dirò. Non ho altra difesa. Ma questo, sono pressoché sicuro che potrò dirlo a testa alta. Non è granché...

e. b. - Capisco. In fin dei conti, lei mi dice che non pensa all'eternità, ma che pensa alla morte. Ma, nella morte, a chi pensa?

a. - Al mio naufragio. La morte, per me, è il mio naufragio. Il naufragio della mia individualità e della mia persona, che è emersa dal nulla e che ricade nel nulla. Questo nulla, non lo qualifico. Voglio dire: la mia materialità. Perché non è possibile pensare alla morte senza pensare alla materialità della morte, ossia alla brusca non-esistenza. Nessuno mi farà credere che egli non pensa a questo. Tutti ci pensano. Io ancor più degli altri, perché sono un uomo che tocca. Un uomo per il quale le cose hanno una densità. E la mia densità scomparirà (così come era uscita), scomparirà nel nulla...

e. b. - Ma, in questo nulla, Cristo ha un posto?

a. - Sicuramente. Perché il nulla, per me, in realtà, è una parola. Il nulla, per me, è la potenzialità di tutta la vita. Dunque, ciò potrebbe essere l'eternità.

e. b. - La resurrezione?

a. - Certo!