Discorso introduttivo per la benedizione a Civitella

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Carissimo padre e vescovo Romano,
amato arcivescovo Rowan Williams,
care monache benedettine e di Cumiana,
fratelli e sorelle,
cari monaci, amici tutti,

all’inizio di questa liturgia desidero confessare il mio ringraziamento al Signore per i doni che continua a fare alla nostra comunità. Siamo e vogliamo essere una piccola realtà nel grembo della chiesa santa e una, una comunità monastica che tenta – lo ripeto, tenta –, senza riuscirci pienamente, di vivere il Vangelo nella vita comune, nella preghiera, nel lavoro e nell’accoglienza di tutti quelli e quelle che bussano alla nostra porta. Come diceva san Pacomio, nostro padre insieme a san Basilio e a san Benedetto, noi fratelli e sorelle siamo dei poveri laici, semplici cristiani che vogliono essere discepoli del Signore Gesù. Sant’Ignazio di Antiochia, venendo dall’oriente a Roma per essere martirizzato, affermava: “Ora comincio a essere discepolo di Cristo” (Ai romani  5,3), e noi forse non possiamo neanche dire questo!

Voi sapete che noi monaci non siamo essenziali alla vita della chiesa, nella quale dovremmo solo essere una memoria del Vangelo, ma vogliamo essere nel cuore della chiesa grazie alla comunione con la chiesa locale nella quale il Signore ci ha voluto. La nostra vocazione è solo quella di essere quelle sentinelle delle quali parla il profeta Isaia, sentinelle ai margini, sulle mura, che di notte e di giorno non si stancano di pregare il Signore e di attendere la sua venuta nella gloria, chiedendo misericordia per la chiesa e per tutta l’umanità (cf. Is 62,6-7). Solo nel giorno del giudizio si vedrà se la nostra opera è stata opera del Signore, non un nostro progetto: lo sapremo allora, non prima. Ecco perché oggi dobbiamo ringraziare il Signore per la nostra vocazione di monache e monaci, viventi lo spirito della Regola di Benedetto o della Regola di Bose. Ma soprattutto vogliamo ringraziarlo per l’incontro che egli ha voluto tra le sorelle benedettine di questo monastero e le sorelle della comunità di Bose.

Su questo incontro vi dobbiamo una parola semplice, chiara, secondo verità, una parola capace anche di spegnere mormorii e parole vuote. Le sorelle di Civitella, attraverso la loro badessa Francesca, più di dieci anni fa hanno cominciato a chiederci di aiutarle perché la loro vita comune si era fatta precaria, non per decadenza spirituale, ma perché ogni realtà umana, per santa che sia, non è eterna ed è soggetta alla fragilità dovuta al passare del tempo. In quella richiesta si è fatta chiara l’appello a venire a vivere con loro la stessa vocazione, pur appartenendo loro a una venerabile e antica tradizione, noi a una recente fondazione. Abbiamo esitato a lungo, ma l’insistenza di madre Francesca e poi di madre Maria Pia, succedutale come badessa, e la richiesta condivisa dalle altre sorelle ci ha spronato ad abbandonarci con fiducia e speranza a quella chiamata che non avevamo né pensato né cercato. Dopo un lungo confronto, un meditato dialogo e con l’aiuto del vescovo di questo luogo Romano, siamo giunti insieme alla decisione di provare questa avventura di una vita comune. Novità assoluta, inedita dei tempi recenti, ma evento che si è ripetuto più volte nell’antichità e nel Medioevo, quando c’è stato nella chiesa un tempo di rinnovamento spirituale e monastico.

Ed ecco, ormai da quasi tre anni la vita comune è una realtà: ci sono stati e ci sono sacrifici da entrambe le parti, ma la concordia non è mai venuta meno e io vorrei dire il mio grazie ma anche la mia ammirazione alle sorelle benedettine, che certamente, vista la loro età media più elevata, hanno fatto un sacrificio più grande rispetto alle sorelle di Bose. Noi le sentiamo come sorelle che sono anche maestre e le vogliamo rassicurare sulla nostra fedele fraternità e sulla nostra volontà di non desistere dal rapporto fraterno, solidale e di alleanza che ci lega a loro.

Cari amici e amiche, la benedizione odierna della chiesa rinnovata e della vita comune vuole dunque essere la manifestazione della nostra alleanza fedele: sorelle benedettine e sorelle di Bose, un’unica comunione e un’unica preghiera, un’unica condivisione dei beni spirituali e materiali, un’unica collocazione nella chiesa locale. Questa comunità è a vostro servizio, amici e ospiti, al servizio di chiunque bussa a questa porta, e offrirà un luogo di preghiera, di ascolto fraterno, di pace e di comunicazione nella fede. La comunità di Civitella san Paolo non nasce oggi, è qui da oltre ottant’anni, ma vive soltanto in modo rinnovato; lo testimonia il fatto che la chiesa viene solo benedetta e non consacrata, perché già consacrata. C’è continuità di vocazione, di servizio-diakonía, di comunione.

Non aggiungo altre parole. Vi chiedo solo di pregare per noi, affinché possiamo essere fedeli alla vocazione monastica e al comandamento nuovo lasciatoci dal Signore Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 13,34; 15,12). Questo è l’essenziale: le forme cambiano, le istituzioni umane nascono, crescono e poi muoiono, ma il Vangelo, il Vangelo di Cristo è eterno – dice l’angelo dell’Apocalisse (cf. Ap 14,6) – e noi monaci, e voi amici, possiamo sempre viverlo in ogni situazione. L’unica contraddizione al Vangelo può venire da noi, da nessun altro, né da situazioni, né da eventi esterni, né dal passare del tempo. Il Vangelo è sempre vivibile, come è vero che niente o nessuno ci può separare dall’amore di Cristo, né morte, né vecchiaia, né nemici, né persecuzioni, dice l’Apostolo (cf. Rm 8,35-39).

Ringrazio ancora il vescovo Romano di essere per noi non solo un segno della comunione ecclesiale, ma di essere anche colui che si fa servo della nostra comunione. Ringrazio per la sua partecipazione l’arcivescovo Rowan Williams, già primate delle comunione anglicana, amico fedele della nostra comunità. Ringrazio il sindaco del comune di Civitella san Paolo per la sua presenza e ringrazio voi tutti monaci e monache, presbiteri, amici e ospiti.

Enzo Bianchi