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Sospeso tra cielo e terra

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Sebastião Salgado, L'altra America, 1980
Sebastião Salgado, L'altra America, 1980

Nella giornata del 18 febbraio, prima domenica di Quaresima, fr. Enzo ha predicato il ritiro di Quaresima a circa 500 ospiti giunti per l’occasione presso la nostra comunità. Il ritiro si è svolto in due incontri, al mattino e al pomeriggio, intervallati dalla celebrazione dell’eucaristia seguita dal pranzo.

Introducendo la giornata, fr. Enzo ha ricordato che, per chiunque annunci la Parola, il rischio maggiore è quello di non trovarvi il Vangelo, e quando ciò avviene è quasi irresistibile la tentazione di cadere in un annuncio moralistico. Ciò è vero in particolare per le “sette parole” pronunciate da Gesù in croce. In effetti, ha detto fr. Enzo, il mistero pasquale è il cuore della fede cristiana, a cui occorre tornare incessantemente per ravvivare la nostra carità che sempre tende a raffreddarsi (cf. Mt 24,12 e parr.), e proprio per questo è decisivo riuscire a discernere nella croce il Vangelo. 

Per meglio delineare un cammino dalla disperazione alla gloria, fr. Enzo ha tralasciato l’ordine in cui sono normalmente presentate le sette parole. La prima parola da lui presentata è stata quella riportata da Marco e Matteo, insieme al grido inarticolato con cui Gesù morì in croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46 ; Mc 15,35). Morendo abbandonato da tutti e sospeso tra il cielo e la terra come i maledetti, Gesù si fa solidale alle sofferenze dei morenti e dei condannati e si pone nello stato di chi si sente abbandonato anche da Dio: ciò mostra la citazione del Sal  22,1, che testimonia al tempo stesso come Gesù, anche nel momento in cui non sente più la fedeltà e l’affidabilità di Dio, si mantiene fedele, e continua ad invocarlo. 

Questa fede emerge anche dalle parole di Luca. La prima, “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34) esprime come Gesù affronti una delle esperienze più ardue per ogni uomo, quella del male subito: non maledicendo né fingendo un perdono troppo facile, ma affidando nelle mani del Padre le stesse persone che lo tormentano. La seconda parola di Luca è rivolta al buon ladrone: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). La crocifissione tra due malfattori ricorda la prima scena della vita pubblica di Gesù, quando egli si sottopose al battesimo tra una folla di peccatori penitenti; ed è sorprendente che un brigante riesca a riconoscere Gesù quale messia nel momento del suo massimo abbassamento[, privo di ogni apparenza e di ogni grazia (cf Is 53,2)]. Forse il ladrone riesce a riconoscere Gesù dal suo sguardo, da cui traspare la sua umanità fedele e solidale fino alla fine. E questa fedeltà di Gesù emerge anche dalla terza parola di Luca: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”: una citazione del Sal  31,6 con cui Gesù manifesta la sua fede piena nel Padre, a cui si abbandona nell’ora della morte, con una fiducia che pochi riescono ad avere negli ultimi momenti. 

Il passaggio dalla disperazione alla gloria è completo in Giovanni, dove Gesù è sempre padrone e quasi regista della situazione, e lo stesso termine “crocifissione” è sostituito da “innalzamento” (cf Gv 3,14 ; 12,32). La passione di Gesù è compimento delle Scritture e apertura di nuovi orizzonti: così la duplice consegna di Gesù “Donna, ecco tuo figlio!” e “Ecco tua madre!” (Gv 19,26-27) indica in quel che restava della comunità dei discepoli di Gesù il germe della Chiesa, al tempo stesso madre e comunità di figli, a cui Gesù morendo consegna lo Spirito (cf. Gv 19,30b), mentre dicendo “Ho sete” (Gv 19,28) Gesù intende dare compimento alla Scrittura (cf Sal  69,22) e indicare il suo desiderio di relazione con Dio (cf Sal  42,2) e con gli uomini, una sete che egli ha sempre manifestato nella sua vita (cf Gv 4,7.34) e con la quale conclude la sua vita. L’ultima parola di Giovanni, “È compiuto!” (Gv 19,30) segnala infatti al compimento dell’amore (cf Gv 13,1) che è più forte della morte; ed è significativamente un compimento espresso al passivo, per indicare il pieno affidamento di Gesù al Padre, l’unico che può portare a compimento l’opera iniziata (cf Fil 1,6).