Ritiro di Natale - Non c’era posto per loro :Natale tra accoglienza ed esclusione

JR, installazione sul muro di confine tra Messico e Stati Uniti.
JR, installazione sul muro di confine tra Messico e Stati Uniti.

Domenica 16 dicembre 2018

Domenica 16 dicembre il priore della comunità di Bose, fr. Luciano Manicardi, ha tenuto il tradizionale ritiro di Natale, intitolato quest’anno: “’Non c’era posto per loro’ (Lc 2,7): Natale tra accoglienza ed esclusione”. Un’omelia di papa Francesco del 17 dicembre del 2016, ha dato lo spunto per una attualizzazione degli episodi legati alla nascita di Gesù: il giudizio che l’evento dell’incarnazione per ciascuno di noi riguarda non solo l’accoglienza o il rifiuto “che apprestiamo a Dio stesso”, ma anche a chi Dio stesso somiglia maggiormente in questi vangeli, ovvero lo straniero, l’immigrato e più in generale tutti gli esclusi.

Come ricorda il papa, c’è la necessità di una “nuova immaginazione sociale”, di “ripensare nuove forme di relazione”, di “trasformare la forza della paura in una forza per una nuova immaginazione della carità”: di vivere un Natale che non sia né commerciale, né fatto solo di pii sentimenti, ma che abbia anche una valenza sociale e politica. “Gesù è proprio in quanto straniero che rivela chi è Dio, ma è proprio in quanto straniero che viene rigettato”. Lo straniero diventa, dunque una forma possibile di rivelazione che legittima l’attualizzazione della pagina evangelica rispetto alle nostre pratiche di accoglienza o di esclusione. Nascere e abitare sono diritti fondamentali dell’essere umano, ma i diritti non sono efficaci se non vengono riconosciuti. Riconoscere a ogni essere umano – per il fatto che è un essere umano – il diritto ad abitare è un obbligo per ciascuno, non senza difficoltà. La questione dello straniero, infatti, pone noi stessi in questione. La paura e l’insicurezza suscitata dall’immigrato sono da prendere sul serio, perché rivelano le diversità reali che si impongono: è a partire da qui che si innesta un possibile faticoso lavoro di incontro, che parte innanzitutto dal riconoscere lo straniero che è in noi, la distanza che c’è tra noi e noi stessi. In questo modo lo straniero ci riavvicina a noi stessi: ci permette di essere noi stessi facendo di noi uno straniero, e la nostra responsabilità verso di lui è quella verso noi stessi. 

Fr. Luciano ha concluso la mattinata richiamando la concezione dello straniero nella Bibbia e proponendo le basi per una cultura dell’accoglienza. L’Antico Testamento ha elaborato un diritto dell’immigrato corroborato da una vera e propria previdenza sociale, con leggi che facilitano il suo inserimento sociale, basati da una parte su una cultura della memoria ( “Perché anche tu sei stato straniero” – Es 22,20) e dall’altra sul comando di amare lo straniero come se stessi (cfr. Lev 19, 33-34). Una cultura dell’accoglienza si basa dunque sull’ascolto, poiché siamo ignoranti degli altri e sulla sospensione del giudizio, rinunciando al pregiudizio e alla banalizzazione. Richiede inoltre un atteggiamento di simpatia, ovvero uno sguardo di benevolenza, e una capacità di empatia, cioè di sentire l’altro, che si basa sul senso della comune umanità e sulla comune esperienza della sofferenza, che ci può aprire alla compassione e aiuta a creare comunità. L’ultimo elemento è il dialogo capace di portare al cambiamento: nel dialogo infatti possiamo scoprire che i problemi degli altri sono i nostri stessi problemi e la conversazione può diventare cammino di conversione e di comunione. 

Nel pomeriggio fr. Luciano ha proposto un articolato percorso sulla vergogna, emozione che insieme alla paura, viene utilizzata socialmente per “cacciare” ed escludere.

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