Al modo di Cristo

Fratelli, sorelle,

più volte nella nostra Regola si trovano esortazioni come questa: “Ama i tuoi fratelli di amore pieno, leale” (RBo 14), “Ama i tuoi fratelli tutti” (RBo 14), “Ama coloro che Dio ti ha dato come primi custodi” (RBo 2). Il comando è ad amare fratelli e sorelle. E fratelli e sorelle “tutti” senza esclusioni o esclusivismi di sorta. L’affetto, dice la Regola, anche nei confronti di coloro che sentiamo più vicini, deve restare sano e non esclusivo, e dunque non deve divenire escludente perché allora sarebbe insano. E si chiede che tale affetto non diventi ostacolo alla relazione con altri (cf. RBo 14). Quindi si ricorda anche il contenuto semplice ed essenziale di questo amore, veramente alla portata di tutti: sguardi reciproci di accoglienza e benevolenza, maniera di salutare, apertura, non chiusura o indifferenza verso di loro. Non lasciar spazio all’antipatia e alla freddezza.

Ed è nel nostro cuore che noi lasciamo spazio ad antipatia e anche disprezzo dell’altro, e poi li travasiamo nelle conversazioni con gli altri, nelle comunicazioni, quando facciamo gli altri oggetto del nostro discorrere. Può stupire che una Regola monastica si occupi di simili dati elementari e basilari del vivere quotidiano, ma l’esperienza ci dice che invece è necessario. Infatti anche, e forse più che mai, i rapporti di fraternità monastica tra persone che non si sono scelte e stanno insieme perché riunite dall’unica vocazione, e dunque stanno insieme per fede, sono soggetti a derive di violenza, di inciviltà, di rozzezza e di indifferenza.

Ma il bene comune non sarà mai raggiunto senza un’adeguata ricerca delle virtù comuni: e questo comporta l’arginare le pretese della singolarità e limitare l’invadenza dell’io per accrescere l’armonia del vivere corale. Infatti, quando la Regola chiede di non lasciare spazio alla freddezza, chiede un lavoro su di sé, un riconoscimento di ciò che sento e provo di fronte alla tal persona, per arginare e limitare la reazione che istintivamente potrebbe nascere nei suoi confronti. Si tratta di fare un lavoro di addomesticamento di sé; altrimenti si cade nella brutalità e animalità dei rapporti. Inutile riempirsi la bocca di parole come umanità, vangelo, amore, se poi non sappiamo o non vogliamo salutare il fratello, rifiutiamo di rivolgergli un sorriso, lo ignoriamo. L’amore cristiano non dice di amare l’altro perché amabile, ma di rendere amabile l’altro amandolo concretamente. E concretamente significa attraverso una prassi virtuosa quotidiana fatta di queste piccole virtù che sono normalmente frutto di piccole vittorie contro i nostri istinti egoistici, di piccole ma non per questo facili, lotte contro la nostra istintualità.

In una comunità che soffre di rapporti sfilacciati e segnati da divisione, per mettere in atto quell’amore che la Regola chiede con insistenza, occorre lavorare alla ricomposizione dei rapporti. E questo impegna a una attenzione quotidiana spicciola all’altro che mi passa accanto, a fare di ogni incrociarsi anche per caso l’occasione di un saluto, di un sorriso, di una parola di accoglienza. Non si dà nessun cammino di riconciliazione senza questa tessitura quotidiana, piccola, di una trama di rapporti ispirati a bontà. Senza questa volontà di bene non c’è riconciliazione e neppure un voler bene. Ma certo, questo ha un prezzo.

Nel Nuovo Testamento “riconciliazione”, in greco katallaghé, è quello scambio verso il basso che comporta una perdita, una rinuncia. Una libera e voluta rinuncia. Come quella di Cristo sulla croce. Non a caso dice ancora la nostra Regola: “Ama [i tuoi fratelli] allo stesso modo con cui Cristo ti ha amato fino alla fine” (RBo 2). Al rischio delle guerre fratricide occorre dunque opporre, come ci ricorda il patriarca Atenagora in un testo che tutti noi conosciamo molto bene, “la guerra all’interno, vincere il male in noi stessi. Si tratta della guerra più aspra, quella contro se stessi … Io – dice ancora Atenagora – questa guerra l’ho fatta. E l’esito è che sono disarmato della volontà di spuntarla, di vincere, di giustificarmi alle spese degli altri. Non ho più paura di niente perché l’amore scaccia la paura”.

Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede rinnovando ogni giorno il concreto e semplice amore per i nostri fratelli e le nostre sorelle. E tu, Signore, abbi pietà di noi.

fratel Luciano