Vivi con gioia

Photo by Steve Johnson on Unsplash
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Fratelli, sorelle,

la nostra Regola più volte fa riferimento a una dimensione che è essenziale nella vita monastica. La dimensione della gratuità, della bellezza, della gioia. I testi sono diversi e io ne evoco solo alcuni. La preghiera liturgica ha una dimensione estetica perché è bello dare lode al Signore, come ripetono i Salmi (Sal 33,1; 92,2), e tale bellezza deve manifestarsi nell’azione corale liturgica (RBo 35). Per questo gli uffici vanno celebrati “in una estrema gratuità” (RBo 35). Ma soprattutto viene richiamata la gioia come testimonianza evangelica nell’accoglienza degli ospiti (RBo 39), nella condivisione del pasto con loro (RBo 39), nell’obbedienza alle decisioni della comunità (RBo 27), nella risposta agli appelli del vangelo (RBo 4). La Regola richiama poi i tempi del riposo e del divertimento, dello svago, in cui si richiede semplicità e sobrietà, cioè, misura e buon senso, ma si afferma come questi momenti di leggerezza siano essenziali alla nostra vita umana. Altrimenti, se non si ha mai la capacità di fare degli stacchi, di distrarsi, di compiere azioni puramente gratuite, per il solo piacere di farle, ci si innervosisce, di si immusonisce, ci si intristisce. Si diventa insopportabilmente seriosi. Noi sappiamo che il gioco è una dimensione totalizzante perché coinvolge pienamente chi lo pratica: è gratuità che impegna totalmente la persona. Ed ha un grande potere rigenerante. Non può poi non colpire il fatto che la Regola sia racchiusa in un’inclusione in cui all’inizio si dice: “Ungi il tuo corpo di profumo, sii allegro, riempiti il viso di gioia” (RBo 2) e al termine: “Vivi con gioia” (RBo 47).

Insomma la nostra vita è vivibile se essa è anche contrassegnata da gratuità, da ricerca di bellezza nei rapporti con le cose, gli ambienti, gli animali, le piante, i fiori, da rapporti sobri e semplici tra di noi, ma animati da affetto e benevolenza. Se è bello cantare le lodi del Signore è anche bello che i fratelli e le sorelle siano insieme (Sal 133). Questa bellezza è una costruzione quotidiana che chiede sforzo e impegno e su cui si posa la benedizione del Signore. Come creare questo clima largo e sereno? Con gesti di attenzione agli altri, con saluti, con l’arte della gentilezza e del rispetto, con quell’amore che si declina in una quantità di attenzioni spicciole ma che edificano il benessere comune. Affabilità e discrezione, premura e pacatezza, generosità e disponibilità, sono alcune di queste piccole disposizioni d’animo, di queste piccole virtù che creano un clima di vivibilità nel quotidiano del nostro vivere, quando ci si incontra nei cortili, quando si mangia insieme, quando si conversa, sempre. È alla creazione di un tale clima che mira la Regola quando ricorda cose elementari ma che i vissuti ci dicono essere importantissimi: l’amore va manifestato “negli sguardi reciproci, nell’onorare gli altri più di se stessi … nella maniera di salutarli” (RBo 14). E al di là di ciò che può essere scritto in una Regola è l’esperienza della vita quotidiana che ci dice come noi viviamo bene la nostra vocazione, la nostra esistenza, se ciò che facciamo lo facciamo con piacere, non solo per dovere o per obbligo, se le nostre giornate conoscono momenti informali di incontro e di gioia, di gratuità, di risa e di allegrezza. Di una santa leggerezza.

A nulla vale dire che ci son ben pochi motivi per rallegrarsi! Questo lo può dire chi esce dalla fede e da quella modalità eucaristica di affrontare l’esistenza che significa anche cercare la gratuità e spendere energie in questa santa inutilità. Ci sono sempre motivi per ringraziare e per essere nella gioia: basta assumere una visuale, un punto di vista in cui accettiamo di riconoscere il bello e il buono che già esiste accanto a noi e in mezzo a noi, che ci precede e che noi non meritiamo per nulla. Gesù ha gradito come “azione bella” il profumo versato dalla donna per lui spezzando un prezioso vasetto di alabastro. Certo, non mancò tra i discepoli chi conteggiò la perdita economica insita in quel gesto, e lo giudicò uno spreco: si poteva vendere e dare il ricavato ai poveri (Mt 26,6-13). Ecco la mentalità materialista, economicista e quantificante che arriva a dominare un discepolo di Gesù. Stiamo attenti a una logica che sembra rigorosamente evangelica ma in fondo è gretta, non libera, e, in nome della povertà, ci mantiene nella sciatteria. Un conto è guardarsi dalla leziosaggine, fuggire l’estetismo, la frivolezza, altro conto è vivere di quella gratuità che è parte costitutiva della vita di Gesù e del messaggio evangelico. Vi è una utilità, anzi una necessità dell’inutile. Di ciò che non produce immediato profitto o utilità, ma ha valore in sé e per sé.

Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e vivendo nella ricerca della gratuità, da veri innamorati, come direbbe sant’Agostino, della bellezza spirituale. E tu, Signore, abbi pietà di noi.

fratel Luciano