Assiduità con la Parola

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14 novembre

Fratelli, sorelle,

il vangelo odierno (Mc 13,24-32) contiene una frase di Gesù importante per la nostra vita cristiana e monastica: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mc 13,31). Il testo parla della potenza della parola di Dio, potenza grazie alla quale soltanto noi possiamo reggere la nostra vocazione che invece va in crisi se si distacca dalle sue radici. Lo “spirito di preghiera robusto” (RBo 37) di cui parla la nostra Regola nasce anzitutto dall’assiduo ascolto della Parola di Dio che può corroborare una vita che, se affidata semplicemente alle nostre forze, non può che venir meno. Ora, solo se la centralità della Parola di Dio contenuta nelle Scritture, e massimamente nel Vangelo, viene concretamente vissuta tanto nella lectio divina personale come comunitaria, nell’ufficio come in ogni liturgia, la nostra vocazione monastica ha basi salde. E questa centralità ci impone di interrogarci su tre rapporti.

Anzitutto fra Parola e parole. Diciamo e ascoltiamo una miriade di parole, di chiacchiere, che ci allontanano dalla Parola. L’informazione è dispersiva, la Parola è unificante. La memoria del vangelo ascoltato nell’ufficio mattutino, magari meditato e pregato nella lectio divina personale in cella ancor prima dell’ufficio, vangelo ripreso nell’ufficio di mezzodì, è esercizio di unificazione che può mettere a tacere il nostro multiloquio, il nostro dissiparci nel parlare. Memorizzare e ripetere un versetto di vangelo durante la giornata è esercizio tanto semplice quanto efficace nel senso dell’unificazione personale.

Un secondo rapporto è tra Parola e tempo. Quanto tempo dedichiamo all’ascolto del vangelo e quanto passiamo sui mezzi di informazione, su Internet, al telefono? Una differenza evidente per chi ha vissuto in comunità alcuni decenni fa e oggi è la sproporzione fra tempo dedicato alla vita in cella semplice e povera, in cui la lectio era l’occupazione principale, e l’oggi in cui l’invadente presenza dei mezzi di comunicazione ci ruba molto tempo. Il rapporto con il tempo significa anche la lotta che chi è più anziano deve fare per vivificare la sua lectio e non cadere nella ripetitività o nella stanchezza, e invece il radicamento in cui deve impegnarsi chi è più giovane e magari tende a forme di preghiera meno robuste di quella che si costruisce attorno alla frequentazione della parola di Dio nella Scrittura. Né possiamo dimenticare che la Parola di Dio custodita nel cuore e memorizzata nella mente ci aiuta a liberare le nostre relazioni dal soggettivismo, dalle reazioni impulsive, dalle umoralità, dall’esternare le nostre difficoltà, le nostre sofferenze, dal lamentarci, dall’aggredire. E ci aiuta a porre noi stessi e gli altri davanti all’unico Signore.

Infine il rapporto tra Parola e fatti, tra Parola ed eventi. La nostra Regola lo ricorda all’inizio: “Se assimilerai l’Evangelo tu potrai giudicare le situazioni personali proprie, comunitarie, ecclesiali e temporali, e ciò liberamente e coraggiosamente, perché l’Evangelo è forza di Dio!” (RBo 3). L’assiduità con la Parola affina il nostro discernimento, che richiede anche silenzio. Anche le parole che pronunciamo ci possono infatti dissipare e condurre dove noi non avremmo voluto. Ma, appunto uno spirito educato dall’assiduità con la Parola, un cuore che assimili lo spirito del Vangelo, può valutare con libertà evangelica fatti ed eventi, personali e comunitari, ecclesiali e storici. Certo, si tratterà di giudizi che non seguono le mode, non omologati alle ideologie diffuse, che non confondono i segni dei tempi con i titoli dei quotidiani, non sono a traino del politicamente corretto, né ispirati da teorie sociologiche o acriticamente appiattiti sull’informazione diffusa. Si tratterà del giudizio che rifletterà lo scandalo del Vangelo. E che si esprimerà in parole potenti, incisive, forse poco comprensibili per alcuni, ma di certo, non saranno le parole che ripetono la banalità del sentire comune, fosse pure il sentire diffuso e anche il più corretto.

La nostra Regola lo dice: “Non temere di usare parole profetiche, scomode per qualcuno, poco diplomatiche per altri” (RBo 46). Ma le parole profetiche non nascono da sé ma sono partorite dalla Parola di Dio letta, ascoltata, meditata, pregata, assimilata, giorno dopo giorno, in una grande perseveranza. Un rinnovamento della comunità passa anzitutto per questa via, non per altro, via che ci conduce a ciò che è davvero essenziale e irrinunciabile in una vita che si vorrebbe di radicalità evangelica. Per rinnovare nella continuità con l’essenziale nella nostra vita monastica, a noi dunque di riprendere con vigore quanto presente nello scritto che ha preceduto la nostra Regola monastica, ovvero le Tracce spirituali, là dove si dice: “Per penetrarti dello spirito dell’Evangelo, per vivere di esso, nella tua vita spirituale tu cercherai di ascoltarlo, di meditarlo, di ruminarlo, finché faccia corpo e unità con te stesso. Nella preghiera, durante le ore di lavoro, tu proseguirai la meditazione di esso e amerai mormorare la parola di Dio, con amore e attenzione” (Tracce spirituali, Evangelo); “La «lectio divina» deve essere fatta soprattutto come lettura spirituale, da cui prendere soccorso e aiuto per rinnovare ogni giorno la propria vita” (Tracce spirituali, La vita comune).

Perciò, fratelli, sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede, rinnovando ogni giorno il nostro ascolto, la nostra meditazione, la nostra preghiera della Parola di Dio contenuta nelle Scritture. E tu, Signore, abbi pietà di noi.

fratel Luciano