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Discours d'accueil du patriarche Bartholomée Ier

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Bose, 14 maggio 2013
Le prieur Enzo Bianchi prononce son discours d'accueil devant le patriarche Bartholomée
Bose, 14 mai 2013
ENZO BIANCHI
C'est avec des sentiments de profonde émotion et de gratitude envers le Seigneur que nous accueillons encore une fois le patriarche Bartholomée, en cette veille de la fête de saint Pachôme

Bose, 14 maggio 2013
REVUE DE PRESSE

TEXTE ORIGINAL EN LANGUE ITALIENNE
DU DISCOURS DE FR. ENZO 

 

Santità amatissima,
Venerabili Metropoliti Apòstolos di Dèrchon
e Ghennàdios d’Italia e Malta
Amati vescovi  di Biella Gabriele Mana,
di Pinerolo Piergiorgio Debernardi,
Luigi Bettazzi emerito di Ivrea,
Carlo Ghidelli emerito di Lanciano-Ortona
ed Erminio De Scalzi ausiliare di Milano
Archimandriti e reverendi padri,
Amici ed ospiti, fratelli e sorelle,

CHRISTÒS ANÈSTI!  ALITHÒS ANÈSTI!
CRISTO È RISORTO!  È VERAMENTE RISORTO!

Ascolta il Priore Enzo Bianchi:
 

 

È con sentimenti di profonda commozione e di gratitudine verso il Signore che ancora una volta – in questa vigilia della solennità di san Pacomio il grande, come lo chiama la liturgia bizantina, padre della vita monastica cenobitica – accogliamo Sua Santità Bartholomeos, Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca ecumenico, con la Sua delegazione, nel nostro Monastero, in seno alla nostra piccola comunità che tanto ama Lei e le sante Chiese ortodosse. Qui, in questa nostra chiesa, dove ogni giorno cerchiamo di  innalzare al Signore inni di lode e invocazioni in favore di tutti gli uomini e della creazione intera, vogliamo oggi ripetere ancora una volta il segno posto da san Benedetto, il quale nella Regola chiede che l’abate all’arrivo dell’ospite dica le parole del Salmista: «Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, in mezzo al tuo tempio!» (Sal 47 [48],10; RB 53).

Padre amatissimo, questa Sua visita tra di noi è un rinnovato segno della misericordia del Signore, un dono che non meritiamo, ma che accogliamo nello stupore e nel ringraziamento, coscienti della nostra indegnità. Come disse una volta abba Orsiesi, il successore di san Pacomio, all’arcivescovo Teofilo che lodava la vita dei monaci: «Noi siamo laici senza importanza». Questa è anche da sempre la coscienza che noi monaci e monache di Bose abbiamo di noi stessi in seno alla Chiesa: tutto ciò che siamo, tutto ciò che facciamo e tutto ciò che riceviamo lo dobbiamo solo alla misericordia del Signore. Siamo solo suoi servi, al servizio della κοινων?αdelle Chiese!

Nel clima gioioso del tempo pasquale, che le Chiese ortodosse hanno da poco iniziato, e di cui le Chiese d’occidente si preparano tra pochi giorni a celebrare il compimento nella grande solennità della Pentecoste, facciamo nostre le parole del profeta Isaia: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: il tuo Dio regna!» (Is 52,7). Il Cristo risorto da morte, nostra speranza e nostra pace, che nella sua persona fa di tutti noi una cosa sola, è presente qui in mezzo a noi: ecco il lieto messaggio, l’evangelo che Lei ci reca, Santità, ancor prima che con le parole, con il semplice dono della Sua presenza perché, come il Signore stesso ci ha detto: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, là io sono in mezzo a loro!» (Mt 18,20).


 

Ricordiamo con gratitudine le Sue venute a Bose quale metropolita di Filadelfia e poi di Calcedonia, ormai molti anni fa, ma il nostro ricordo va oggi innanzitutto alla Sua prima visita da patriarca che Lei volle farci, e alle parole che in quell’occasione ci rivolse sul ruolo del monachesimo nel cammino dell’unità delle Chiese, parole che in questi anni abbiamo cercato di custodire come un prezioso insegnamento. «Due sono i mezzi – Lei diceva – che solitamente adoperiamo per ristabilire l’unità: la preghiera e il dialogo. Per rivivere insieme la Pentecoste, dialoghiamo e preghiamo… Se il dialogo teologico procede con l’intelletto, la preghiera monastica si fa con il cuore … Dialogo e preghiera sono due gambe ugualmente necessarie per camminare verso l’unità … Non sappiamo immaginare se potrà mai diventare raggiungibile o comprensibile l’opera dell’unità senza la presenza attiva di monaci che vivano fortemente il desiderio di Cristo che vi sia un solo gregge sotto di lui, il pastore dei pastori».
Sedici anni sono passati da quel giorno, ma le Sue parole trovano ancora un’eco viva nel nostro cuore. In questo tempo abbiamo continuato a seguire le Sue molteplici attività, i Suoi viaggi apostolici, i Suoi discorsi e i Suoi messaggi, abbiamo letto i numerosi libri da Lei pubblicati (alcuni dei quali abbiamo pubblicato presso le nostre edizioni, tra cui l’ultimo, Entrare nel mistero, con una Sua prefazione alla nostra edizione italiana, una illuminata introduzione al cristianesimo e all’ortodossia), abbiamo cercato di tenere viva questa comunione di amicizia con Lei attraverso la corrispondenza epistolare, siamo venuti a visitarLa presso la Sua sede patriarcale a Costantinopoli, abbiamo ricevuto anche da Lei altre visite, qui a Bose nel 2003, e poi recentemente anche a san Masseo, la nostra fraternità ad Assisi, nel 2011; i nostri convegni ecumenici internazionali di liturgia e di spiritualità ortodossa hanno sempre potuto contare sulla Sua benedizione, sull’invio di qualche Suo rappresentante e del Suo messaggio paterno; e poi tante altre sono state le occasioni di incontro – a Roma quante volte ultimamente, ma anche a Costantinopoli – in cui abbiamo potuto confermarle i nostri sentimenti di stima e di affetto nel Signore.

La ringrazio davvero di aver sempre sostenuto e incoraggiato con amicizia sincera e fedele la nostra comunità… Mi sia consentito dire che, in qualche maniera, siamo diventati anziani insieme… e Le sono grato per le fin troppo buone parole che ha voluto indirizzarmi in questi ultimi mesi, al compimento dei miei 70 anni. Sì, abbiamo in qualche modo camminato insieme, o meglio, il Suo cammino spirituale ci è stato di esempio, fino a quest’ultima Pasqua che Lei ha voluto celebrare nella piccolezza e nell’umiltà della Sua isola natale di Imvros, per testimoniare che il Signore ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i potenti (cf. 1Cor 1,27) e che proprio in questo la luce pasquale irradia in tutta la sua forza misteriosa. «Portiamo il peso della croce del Signore e della nostra croce, nell’attesa della resurrezione. Croce e resurrezione sono molto vicine!». Sono le Sue parole in questo venerdì santo nella chiesa di santa Barbara in Evlàmpio, nell’isola martire di Imvros. «Non c’è resurrezione senza crocifissione», ci diceva già papa Efrém di Katunàkia, Suo confessore. In questi 22 anni del Suo ministero patriarcale di umile animazione dell’unità e di servizio sacrificale nella fedeltà e nella perseveranza l’abbiamo vista divenire progressivamente kalògheros, ricco di sapienza e di makrothymìa, e così ci siamo permessi di iscrivere sulla parete principale dell’ospitalità (il nostro muro della consolazione!) anche il Suo nome tra i nomi di coloro che chiamiamo e sentiamo pnevmatòfori, portatori dello Spirito in mezzo a noi! Grazie Santità, perché in Lei la nostra comunità ha sentito amicizia fedele, consolazione e sostegno sempre!


Il nostro incontro più recente è stato a Roma, appena due mesi fa, in occasione dell’inizio del ministero del vescovo di Roma, Francesco, a cui Lei ha voluto manifestare il Suo fraterno amore attraverso la Sua personale presenza, un gesto questo senza precedenti con cui, ancora una volta, Lei ha mostrato di essere un vero discepolo del grande patriarca Athenagoras, tante volte da me incontrato così caro al mio cuore. Egli ai fratelli cristiani e a tutti gli uomini che incontrava amava sempre ripetere: «Venite, guardiamoci negli occhi!».

In quell’occasione ci siamo rallegrati in particolare delle parole da Lei rivolte a papa Francesco, parole in cui ci è sembrato di cogliere una sintesi mirabile di tutto il Suo ministero patriarcale. La Sua prima parola ha riguardato proprio l’unità delle Chiese cristiane, che Lei ha definito in modo categorico come «la prima e la più importante delle nostre preoccupazioni» e «sicuramente uno dei presupposti fondamentali affinché la nostra testimonianza cristiana possa essere credibile agli occhi dei vicini e dei lontani». Motivo di grande gioia e soddisfazione è stata anche l’accoglienza che papa Francesco, in tutta spontaneità, ha riservato alle Sue parole, definendola con l’appellativo di «mio caro fratello Andrea», riconoscendo pubblicamente il legame fraterno che, nell’unica fede apostolica, unisce la sede dell’Antica Roma a quella della Nuova Roma. Ci sembrava di rivivere l’incontro narrato nella Historia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea tra il vescovo Policarpo e papa Aniceto, in cui quest’ultimo cedette al fratello d’oriente la presidenza della celebrazione eucaristica: «Le divergenze erano senza importanza e tra loro e in tutta la Chiesa regnava la pace», scrive Eusebio, una unità senza uniformità ma nella diversità!

Non possiamo nasconderle il nostro pensiero profondo: in un momento in cui, nonostante tutti i sinceri sforzi da parte di molti cristiani di buona volontà, il dialogo ecumenico sembra qualche volta faticoso o addirittura raffreddato da molteplici segni che contraddicono il cammino verso la comunione, questi eventi recentissimi hanno risvegliato in noi la nuova speranza di una nuova primavera!


La semplicità evangelica del nuovo papa, che Lei con grande sensibilità ha già avuto modo di apprezzare, speriamo potrà giovare molto al miglioramento dei rapporti fraterni tra le Chiese. Anche noi, insieme con Lei, nutriamo la viva speranza che il ministero del vescovo di Roma possa recuperare la funzione autentica che aveva nei primi secoli cristiani, quella di “presiedere nella carità”, secondo le parole di sant’Ignazio di Antiochia (Lettera ai Romani, Prol.), quale elemento di comunione che favorisce l’unità.

Pensiamo di intuire come tutto ciò possa trovare un’eco profonda nel Suo cuore di pastore che fin dall’inizio ha compreso ed esercitato il proprio ministero patriarcale come un vero servizio di comunione, a tutti i livelli. In un contesto politico ed ecclesiale in cui non Le sono state certo risparmiate prove e umiliazioni, e recentissimamente anche minacce e pericoli per la Sua stessa incolumità, Lei ha saputo seguire le orme di Cristo, l’Agnello diventato Pastore, facendo della croce un’occasione di comunione e della debolezza materiale la vera e unica forza capace di trasmettere al mondo la verità dell’amore.
Come Lei stesso disse con chiarezza nel Suo discorso di intronizzazione il 2 novembre 1991, il Patriarcato ecumenico è «un’istituzione puramente spirituale, un simbolo di riconciliazione e una forza disarmata». Tale è rimasto e sempre più è diventato in questi anni. Il ministero di comunione da Lei svolto con totale dedizione all’interno della Chiesa ortodossa è diventato infatti nel corso degli ultimi vent’anni un reale servizio rivolto a tutte le Chiese ortodosse, ma anche a tutti i cristiani e direi anche a tutti gli uomini, a prescindere dalla loro appartenenza confessionale, nazionale o etnica.

 

Nel contesto di tale servizio di riconciliazione universale si inscrivono le molteplici iniziative che il Patriarcato ecumenico ha intrapreso in favore della pace tra i popoli, della giustizia sociale e della tutela del creato: queste ultime, già inaugurate dall’indimenticabile patriarca Dimitrios, il patriarca dell’agàpe, sono state da Lei proseguite e sviluppate con particolare vigore e convinzione. In questo servizio alla comunione tra tutti i popoli e con il creato, Lei non ha esitato ad annunciare con coraggio e parresìa/παρρησ?α l’ethos ecclesiale ortodosso anche nelle più alte sedi istituzionali del mondo: è Sua ferma convinzione, infatti, che dietro ai problemi con cui l’umanità oggi si trova drammaticamente confrontata si nasconda una falsa concezione antropologica che nega la vera grandezza e dignità della persona umana quale essere creato «a immagine e somiglianza di Dio», chiamato a trasfigurare la sua vita e quella della creazione per vivere nella κοινων?α con Dio, con i fratelli e con tutta la creazione. È questa convinzione, unita a un sentimento di responsabilità di fronte a Dio e agli uomini, che l’ha spinta spesso a levare alta la voce contro uno stile di vita non in armonia con la nostra vera natura di uomini.
Sappiamo bene che in questo Suo ministero di riconciliazione e di comunione a servizio delle Chiese e dell’umanità intera Lei ha sempre attribuito un grande valore allo stile di vita del monachesimo cristiano, quale ci è stato insegnato e trasmesso da una catena ininterrotta di padri spirituali in oriente e in occidente: uno stile di vita che, come diceva il grande Basilio – che, Lei sa, sentiamo come grande padre e ispiratore della nostra comunità –, è fondamentalmente la «vita secondo l’evangelo» (Lettere 207,2) proposta a tutti i cristiani, ma che appare come qualcosa di “diverso” nella misura in cui come cristiani abbiamo dimenticato l’evangelo per «conformarci alla mentalità di questo mondo» (Rm 12,2); e come diceva ancora il Suo grande predecessore san Gregorio il Teologo, anche lui filomònacos, «la condizione monastica è anzitutto caratterizzata dalla stabilità nello stile di vita più che dalla separazione dagli uomini» (Orazione in lode di Atanasio 20).

Dobbiamo riconoscere che gli insegnamenti del monachesimo ortodosso, antico e moderno, cui vogliamo incessantemente attingere, sono stati fondamentali nella storia della nostra comunità e ci hanno permesso una comprensione più profonda del mistero cristiano. Non possiamo dimenticare, accanto allo studio e alla riscoperta delle opere dei padri del monachesimo antico, cui ci siamo dedicati fin dai primi anni della nostra esperienza monastica qui a Bose, l’importanza dei contatti con le comunità monastiche viventi nei paesi di tradizione ortodossa, in Grecia, Serbia, Romania, Russia, Georgia, Libano, Egitto e Siria... Penso in modo particolare ora alle comunità monastiche della Santa Montagna dell’Athos, l’Aghion Oros che si trova sotto la Sua diretta giurisdizione patriarcale, e che è stato da noi frequentata assiduamente fin dagli anni ’60: ancora oggi, quasi ogni anno, un piccolo gruppo di fratelli vi si reca in pellegrinaggio, per ravvivare i legami di amicizia e ricevere un conforto spirituale dai padri che là dimorano nel silenzio e nella preghiera. In questo modo ci sentiamo vicini al cuore pulsante della “Grande Chiesa di Cristo”, ai suoi autentici tesori spirituali, nascosti agli occhi del mondo ma preziosi davanti a Dio.


Santità, la comunione noi speriamo non sia lontana. Lei sa che preghiamo con particolare insistenza il Signore per il concilio panortodosso che Lei desidera e per il quale tanto lavora. Noi preghiamo che il Signore lo renda possibile, perché sarà un vero servizio all’unità di tutte le Chiese oltre che alla comunione tra le Chiese ortodosse. Sappiamo che l’unità voluta dal Signore Gesù non ha mai smesso di esistere, anche al di là delle divisioni canoniche, e che gli uomini hanno sempre potuto, nella fede nel Signore e nell’obbedienza all’evangelo, in una «grande nube di testimoni» (Eb 12,1), vivere una comunione che non sempre noi sappiamo vedere ma che è più alta dei muri che separano le Chiese.
Tra questi testimoni ci è particolarmente caro ricordare oggi, Santità, l’amato Metropolita di Silyvrìa, Emilianos Timiadis, che per tanti anni è stato in modo instancabile la voce del Patriarcato ecumenico presso il Consiglio ecumenico delle Chiese, e che nell’ultimo tratto della sua vita, fino alla sua morte (2008), ha voluto condividere la nostra vita monastica, dandoci l’esempio di un monaco povero, pieno di libertà, capace di grande intercessione e di grande amore per l’unità delle Chiese. L’ecumenismo per lui non è stato un lavoro da specialisti, ma un elemento organico del suo stesso essere cristiano, presbitero e vescovo: egli infatti considerava la divisione dei cristiani come uno scandalo permanente e una contraddizione radicale alla testimonianza resa all’evangelo, ma con Giovanni Crisostomo, il padre della Chiesa che più amava citare, era anche intimamente persuaso che per tutti i cristiani «i doni più essenziali sono comuni: il battesimo, la salvezza per la fede, l’avere Dio come Padre e la partecipazione di tutti al medesimo Spirito» (Omelie sulla Lettera agli Efesini XI,1). La sua persona e la sua vita sono state un altro grande dono di cui siamo debitori alla Grande Chiesa di Costantinopoli!

Santità, non posso se non esprimerLe – a nome di tutta la comunità ma anche a nome dei nostri amici e ospiti che hanno voluto essere qui con noi nonostante oggi sia un giorno feriale e lavorativo, ma sono venuti appositamente per dire che anche loro tramite la nostra comunità sentono per Lei stima e affetto e la ricordano nelle preghiere, come facciamo sovente qui a Bose – non posso se non esprimerLe un profondo grazie, oltre che per il dono del Suo ritorno in mezzo a noi, per l’intero servizio di comunione che Lei svolge coraggiosamente, e per tutto ciò che la Chiesa ortodossa ha da sempre rappresentato e rappresenta per noi e per tutti i cristiani occidentali. Qui a Bose e nelle nostre fraternità nutriamo un grande affetto per Lei e le diciamo che il Patriarcato ecumenico può sempre contare sulla nostra leale volontà di comunione, sulla nostra accoglienza, sulla nostra costante intercessione. Le rinnovo l’assicurazione della nostra collaborazione per tutto ciò che ci è possibile – siamo semplici monaci! –, e la nostra preghiera ardente per Lei, per il santo Sinodo e per tutto il Patriarcato, con uno speciale ricordo per i lavori preparatori del santo e grande sinodo panortodosso e per la riapertura della Scuola teologica di Chalki così cara al cuore di tutti noi!

Is pollà éti Déspota! Che il nostro Signore “amico degli uomini” la custodisca ancora per lunghi anni alla guida della Sua Chiesa e che il Suo ministero patriarcale sia ancora ricco di molti frutti: «per la pace del mondo intero, per la prosperità delle sante Chiese di Dio e per l’unione di tutti i cristiani, preghiamo il Signore: Kyrie eleison, Kyrie eleison, Kyrie eleison» (Liturgia di san Giovanni Crisostomo). Grazie Santità!

Monastero di Bose, 14 maggio 2013

ENZO BIANCHI
Priore del Monastero di Bose