Conférence d'ouverture

VIIe Colloque liturgique international 
ÉGLISE ET VILLE
Bose, 4 - 6 juin 2009
Monastère de Bose
Office national pour les biens culturels ecclésiastiques – CEI

Enzo Bianchi, priore di BoseCONFÉRENCE D'OUVERTURE DU PRIEUR DE BOSE

Texte original italien de la conférence d'ouverture du colloque 
par fr. ENZO BIANCHI

 
 
 
 
Écouter la conférence:

Amati vescovi,
stimati professori e relatori,
amici e ospiti presenti a questo
Convegno Liturgico Internazionale,
desidero rivolgere a voi tutti
il mio più sincero e caloroso benvenuto.

Siamo giunti alla settima edizione di quello che dal novembre 2003 è divenuto un appuntamento annuale che raduna liturgisti, architetti, studiosi, operatori e cultori della liturgia, ciascuno con titoli, competenze e responsabilità diverse, ma tutti accomunati dalla ritrovata consapevolezza di quanto sia determinante riflettere e direi perfino meditare il significato dello spazio liturgico e più in generale il valore del rapporto tra liturgia e architettura. È infatti un'esigenza intrinseca al cristianesimo quella di avere un luogo dove l'assemblea santa è convocata in unum per celebrare il mistero della fede. Un luogo che non sia un semplice contenitore e neppure la somma di elementi e spazi funzionali, ma che sia parte sostanziale della celebrazione. Lo spazio liturgico cristiano è infatti anch'esso leitourgia, è dossologia in atto come sono dossologiche le parole della preghiera e i gesti del rito. Questa verità per noi irrinunciabile attesta che l'architettura liturgica non è tale se non è il frutto dell'incontro tra due arti: dell'ars celebrandi e dell'ars aedificandi. La santa liturgia la si può celebrare veramente "con arte e sapienza" solo in uno spazio anch'esso edificato "con arte e sapienza".

Il percorso compiuto in questi anni dai Convegni Liturgici Internazionali di Bose ha dapprima sostato sugli elementi costitutivi dello spazio liturgico: l'altare, l'ambone e il battistero. Si è poi riflettuto sulla complessa problematica dell'orientamento della preghiera liturgica. Da ultimo, lo scorso anno, l'attenzione è stata posta al mistero della santa assemblea e in relazione ad essa il ministero della presidenza liturgica che all'interno dello spazio liturgico ha come segno visibile la cattedra episcopale e la sede presbiterale. In questo contesto si è affrontato anche il delicato tema del significato e della collocazione della riserva eucaristica, offrendo analisi storiche e teologiche particolarmente feconde.

L'edizione di quest'anno ha come tema il rapporto tra la chiesa di Dio e la città degli uomini, sintetizzato nel titolo: "Chiesa e città". Se i nostri lavori avranno come principale scopo la concreta relazione tra l'edificio chiesa il suo contesto urbano, l'orizzonte di riflessione sarà tuttavia più ampio. Il Comitato scientifico di questi convegni ha formulato alcuni interrogati che rappresentano il punto di avvio dei nostri lavori: "Come celebrare oggi nelle città così ricche di novità? Come progettare nuove chiese nelle città intensamente segnate dalla mobilità, dalla multiculturalità e dalla compresenza di molteplici confessioni e religioni? Come utilizzare al meglio, rispondendo alle sfide di oggi, il patrimonio di chiese e di insediamenti ecclesiali ereditati dalla storia? Quali opportunità si presentano per l’uso pastorale e culturale delle chiese nei centri storici? Quali chiese conservano ancora e addirittura aumentano il loro significato nei centri storici europei? Cosa significa progettare, costruire e celebrare in Paesi e città in cui i cristiani sono minoranza?".

Porsi questi interrogativi è oggi non solo necessario ma doveroso nella misura in cui si comprende che la più elementare manifestazione pubblica della Chiesa sono quelle chiese che essa edifica al cuore delle città. Ma una chiesa la si edifica in una città affinché essa sia Chiesa per quella città, perché la città è sempre la destinataria della presenza della chiesa e mai un semplice mezzo e tanto meno uno mero strumento. Non c'è chiesa senza città perché la salvezza di Dio in Cristo è sempre "propter nos homines". Questa è la ragione per la quale la Chiesa di Dio non è mai stata e non potrà mai essere una realtà apolide.

Vi è un messaggio biblico sulla città che, se compreso nella sua interezza, è certamente una fonte di senso anche per conoscere il ruolo dell'edificio chiesa in una città. Se la città nei testi biblici appare in alcuni casi sotto un giudizio negativo, se si registra qua e là diffidenza verso il suo sorgere e il suo attestarsi come forma di vita umana sociale, non è tuttavia intravista in opposizione a una vita nomade o agreste di segno positivo. (1) In profondità, la Bibbia non oppone civiltà urbana negativa a civiltà pastorale-agreste positiva. Il primo delitto si è verificato presso un altare quale omicidio tra due culture, quella pastorale e quella agricola, rappresentate da Abele e Caino, e con il sorgere della città il peccato è soltanto diventato più epifanico. La prima volta che compare la parola «peccato» nella Bibbia è in Gen 4,7, e il luogo del peccato è il cuore dell’uomo, non certo la città o la campagna! Il mancato dominio sul proprio cuore avviene già ben prima della costruzione della città!

Certo, Caino diventò costruttore di una città (cf. Gen 4,16-17), ma non è l’omicidio la causa della costruzione delle città sulla terra. La città, e noi non possiamo dimenticarlo, è sorta per proteggere l’umanità stessa e favorire processi di umanizzazione: contro il pericolo di un nomadismo che desitua l’uomo e non gli permette di custodire la terra né di regnare su di essa, e anche contro l’assolutezza del clan, che dà sì identità al singolo, ma lo imprigiona nello spazio della parentela e della somiglianza. La città è stata ed è il luogo per eccellenza della costruzione e della manifestazione dell’umano, il luogo più fecondo per l’espressione e l’esaltazione dell’ethos, proprio perché costruire una città significa fare un’opera architettonica etica, che riguarda cioè il rapporto degli uomini tra loro – chiamati a divenire «concittadini» – e con lo spazio, che deve essere al loro servizio.

Certamente l’identità che la città fornisce agli uomini è un’identità dinamica, costantemente ricostruita e rinnovata, dunque in continuo processo di mutamento, perché essa esercita una forza centripeta capace di attirare tutti e, quindi, anche il diverso, lo sconosciuto, lo straniero. Sempre chiamata a tenere aperte le sue porte, ad accogliere – se non vuole trasformarsi in cittadella assediata –, la città ha una vocazione al riconoscimento dell’altro, sconosciuto e inatteso, una vocazione alla pluralità e alla complessità. Le differenze sono disorientanti, la stranierità incute paura, lo sconosciuto facilmente è percepibile come nemico, ma la città non può evitare queste emergenze: ne va della sua vocazione. Per essere tale, la vita della città abbisogna di quest’arte dell’apertura, del riconoscimento, della capacità di integrare il nuovo e il diverso, per instaurare un’ulteriore unità, una nuova solidarietà, un’inattesa comunità che costituiscono un arricchimento della polis.

Sì, la città va anche letta positivamente, e non ha alcun senso la nostalgia di un mondo senza città, non ha senso la fuga urbis che a molti cristiani appare la forma moderna della fuga mundi, come se la mondanità il cristiano non la portasse dentro di sé ovunque abiti... La verità è che la città, rappresentazione dell’umanità tutta nella sua socialità, come le altre «opere» delle nostre mani può essere da noi costruita nell’autosufficienza da Dio, nell’ingiustizia tra noi uomini, financo nell’uccisione del fratello: può essere costruita in vista del dominio e del totalitarismo.

Ogni città è insieme Babilonia e Gerusalemme, e per questo è parabola dell’umanità nella sua dimensione sociale, collettiva: è la nostra città, Babel ieri, e poi Ninive, quindi Roma, Berlino, Mosca, New York... Sì, la nostra città oggi è città secolarizzata, molteplice, eterologa, luogo comune di tutti, campo della vita pubblica, spazio in cui trovare i valori comuni. Qui si incontrano e si scontrano uomini e donne cristiani, non cristiani, non credenti, che devono trovare il modo di dare alla città un ordine, un volto in nome di un umanesimo che afferma che ciò che fa l’uomo è l’uomo! Certamente, nella nostra città sono presenti anche la violenza, l’odio e soprattutto il misconoscimento, la dimenticanza, l’ignorare chi sta alle soglie della città o addirittura sullo stesso pianerottolo del nostro medesimo condominio...
Ma è in questa città, e non in un’altra immaginaria, che anche i cristiani vivono! Ricordate l’A Diogneto? «I cristiani non abitano città loro proprie ... abitano città greche o barbare, come a ciascuno è toccato in sorte» (2), e dunque stanno nella polis, ne fanno parte, sono cittadini e, senza esenzioni e in solidarietà con gli altri uomini, possono decidere di assecondare la costruzione di una città come Babel oppure tentare di edificare la città con un altro volto. Tra la prima città, il cui nome è Enoch, figlio di Caino (cf. Gen 4,17), e la città promessa da Dio, il cui nome è «il Signore è là» (cf. Ez 48,35), c’è un cammino da compiere da parte dell’uomo, un cammino lungo e tortuoso nella storia, ma un cammino che può predisporre quanto è necessario alla discesa della città celeste il cui nome è «sposa dell’Agnello» (cf. Ap 21,9).

Il messaggio biblico sulla città ci invita a pensare che progettare ed edificare una chiesa non significa semplicemente dotare la comunità cristiana di un luogo di culto, ma significa trasformare in realtà l'idea che ogni chiesa è metafora della presenza della Chiesa di Dio nella città degli uomini, in quanto la Chiesa si rende pubblica e si rappresenta nelle sue chiese che sono forma alta e altra di linguaggio. Disseminate nel tessuto urbano, nelle piazze o lungo le strade, le chiese sono l’immagine al tempo stesso della prossimità e dell’alterità di ciò di cui sono segno. Più sono luoghi di bellezza e più testimoniano un ethos che ispira e plasma relazioni belle e legami umani buoni, così che non solo per i cristiani ma per i credenti di ogni religione costruire i propri luoghi di culto significa partecipare alla costruzione etica di una città. Accanto ai luoghi e agli spazi pubblici e in mezzo alle case degli uomini, le chiese rivelano lo stile della presenza dei cristiani nella società che è sempre al tempo stesso vicinanza nella differenza e presenza nella diaconia, nella logica della piena comunione e mai della separazione o peggio ancora della contrapposizione. La facciata di una chiesa è il volto della Chiesa che nella prossimità agli uomini dice accoglienza, dono gratuito, condivisione e consolazione. Se sono questo, le chiese sono il sacramento della presenza di Dio in mezzo agli uomini. Ogni uomo, sia esso credente o cercatore di senso, potrà così far sue le parole del testo biblico che la liturgia canta nel rito di dedicazione di una chiesa: “Locus iste a Deo factus est, inaestimabile sacramentum” (4Esd 8,21), “questo luogo è stato fatto da Dio, è sacramento che supera ogni valore”.

Il convegno al quale diamo inizio sia un'occasione favorevole per far nostro l'inscindibile binomio "identità e relazione" che porta in sé il significato e il valore della presenza della chiesa nella città. Una presenza nella fedeltà a Dio e nella compagnia degli uomini.

Enzo Bianchi
_____________________________________________________

(1) F. Riva, «La città e l’origine», in La rivista del clero 1 (1999), pp. 25-44.

(2) A Diogneto V,2.4. Per il testo completo, cf. Padri apostolici, Agli inizi della chiesa. Didaché. A Diogneto, Bose 1999 (Testi dei padri della chiesa 40), pp. 35-50.