Solidarietà come portare

Colpisce la figura dei quattro uomini che portano il malato sorreggendo la pesante barella: persone anonime, forse famigliari o amici o semplicemente conoscenti del malato che si sono offerti per realizzare quello che possiamo supporre fosse un desiderio profondo del malato stesso: incontrare Gesù. I quattro sono anonimi, definiti solamente da quell’atto di “portare il malato”. E si indovina il legame profondo tra il malato e i suoi portatori: c’è un’intesa, una inseparabilità, una complicità buona che si instaura tra di essi. Portare il malato che è impotente a muoversi, che non ha l’autonomia di camminare, è un gesto che chiede di combinare forza e delicatezza, decisione e amore, intelligenza e carità. È un gesto che esprime la carità in cui si manifesta la fede: “Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo” (Giobbe 29,15), dove il farsi pietoso accompagnatore del cieco e sostegno dello zoppo viene visto come un divenire parte del corpo malato, tanto intimo è il rapporto che si stabilisce fra i due. il portatore dona un po’ della sua forza all’invalido, il malato condivide un po’ della sua debolezza con il portatore. Questa condivisione, questa relazione, questa partecipazione è talmente intima e profonda che diviene corporea: uno sceglie di portare il peso che il malato è, mentre il malato accetta di lasciarsi portare.

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