Il Consiglio ecumenico delle chiese

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Nato nel 1948 dalla fusione di due raggruppamenti ecumenici, Fede e Costituzione (Faith and Order) e Vita e Lavoro (Life and Work) sorti dopo la Conferenza missionaria di Edimburgo del 1910, il CEC (World Council of Churches, WCC in inglese, COE in francese) è la più vasta e diversificata delle organizzazioni del movimento ecumenico moderno al cui interno figurano la maggior parte delle chiese ortodosse, numerose chiese protestanti storiche (anglicane, luterane, riformate, metodiste, battiste) e diverse chiese indipendenti: è una «comunione di chiese» riunite per favorire la testimonianza comune e la riconciliazione fra le diverse tradizioni cristiane. Se la chiesa cattolica non appartiene al CEC, i suoi rappresentanti partecipano tuttavia a pieno titolo alla commissione Fede e Costituzione, la quale promuove il dialogo teologico multilaterale tra le chiese.

Il Comitato centrale (composto da  150 rappresentanti eletti dalle 348 chiese membro) è l’organo di governo del CEC che si riunisce ogni due anni, con la responsabilità di dare attuazione alle decisioni dell’Assemblea generale, discutere e rivedere le grandi linee programmatiche del CEC e approvare il bilancio dell’organizzazione.

L’ultima riunione ha avuto luogo dal 22 al 28 giugno nella città di Trondheim in Norvegia. L’attuale Comitato è stato eletto in occasione della X Assemblea generale tenutasi nel 2013 a Busan (Repubblica di Corea).

I lavori a Trondheim si iscrivevano nel movimento del “Pellegrinaggio di giustizia e pace” indetto dal CEC nel 2013. “Si è scelto di utilizzare l’immagine del pellegrinaggio – spiega il pastore valdese Michel Charbonnier, nuovo membro italiano del Comitato centrale – per dare l’idea del movimento, per ribadire che vogliamo andare nella direzione di una ‘pace giusta’, un concetto partorito dal CEC.” Il Comitato centrale ha voluto in particolare “discernere insieme i paesaggi” attraverso i quali il pellegrinaggio era chiamato a procedere. Il segretario generale del CEC Olav Fykse Tveit lo ha sottolineato nel suo rapporto: nel corso di un pellegrinaggio, i paesaggi molto spesso cambiano (perché li guardiamo diversamente, perché noi stessi ci spostiamo, o perché chi li custodisce li trasforma). Ma nel suo pellegrinaggio attraverso tali paesaggi cangianti, deve essere la speranza a guidare la chiesa: la chiesa pellegrinante, affermava il Segretario generale, non è altro che “un popolo definito da una speranza”. Sperare, sottolineava, “significa spesso essere capaci di vedere al di là di quello che si vede e attendere qualche cosa di più e di altro: cercare la giustizia e la pace, niente di meno”.

In tale ottica, diversi documenti che provenivano dalle aree di lavoro del Consiglio sono stati discussi e adottati, in particolare sulla violenza e le religioni , la giustizia e la pace nel Medio Oriente, il traffico e la tratta di esseri umani, il dislocamento forzato delle persone, e i diritti dei bambini nel mondo … Su questi temi il CEC incoraggia un’azione comune delle chiese, impegnate insieme nella testimonianza cristiana in favore di un mondo giusto per tutti. Non si tratta di difendere le posizioni delle chiese, ma molto di più di agire come chiese in vista della giustizia e della pace per tutte le persone.

Michel Nseir, responsabile del CEC per i programmi legati al Medio Oriente e nostro amico fraterno da lunghi anni, ci riferisce: “Nella riunione plenaria dedicata al Medio Oriente, abbiamo volutamente scelto un prospettiva non ecclesiale. Ci sembrava importante capire che, se i cristiani patiscono e soffrono per le situazioni di tensione in Medio Oriente, non sono soli in questa situazione, ma la condividono con gli uomini e le donne accanto ai quali è dato loro vivere… e morire. Invece di limitarsi a fare delle sofferenze che subiscono un lamento, i cristiani sono chiamati – insieme – a trasformarle in azione per tutti.”

“Abbiamo stabilito una rete di iniziative in favore della pace”, ha commentato il segretario generale del CEC, Tveit: “Le chiese condividono le une con le altre, da diverse parti del mondo, la domanda di sapere come svolgere il proprio ruolo di operatori di pace e di araldi della giustizia.”

Il Comitato centrale ha anche diffuso diverse dichiarazioni pubbliche legate all’attualità, destinate a esprimere la solidarietà del CEC con le società alle prese con varie situazioni. È stato così emanata una dichiarazione sulla Brexit  (il referendum si teneva in Inghilterra nei giorni stessi della riunione norvegese), sull’accordo di pace tra il governo colombiano e i ribelli delle Farc, o di solidarietà con il popolo di Puerto Rico in grave crisi finanziaria ed economica.

Alla tematica della ricerca teologica ed ecclesiale di unità tra cristiani è anche stata dedicata una delle prime plenarie del Comitato centrale. A che punto è la ricerca ecumenica dell’unità cristiana? Come tale ricerca si rapporta con il lavoro per la giustizia e la pace? Cosa si può dire della chiesa in tale contesto? Per rispondere a queste domande, la discussione ha portato in particolare sull’importante documento pdfLa Chiesa: verso una visione comune pubblicato nel 2013 dalla commissione Fede e Costituzione, dopo un lavoro ventennale, e presentato alle chiese perché diano una risposta ufficiale. Il direttore di Fede e Costituzione, Odair Pedroso Mateus, ha asserito con forza: “Solo una visione condivisa della chiesa può fare superare gli ostacoli davanti all’unità cristiana e permette di arrivare a una comprensione comune del compito cristiano nel mondo.” Questo lavoro, però, deve avere un’impronta molto concreta, anzi esistenziale: lo ha sottolineato con vigore la moderatrice di Fede e Costituzione, la pastora Suzan Durber. Per lei, la riflessione sull’ecclesiologia non nasce da una preoccupazione ecclesiocentrica, ma unicamente dalle sofferenze reali patite dalle persone con le quali le chiese condividono il loro pellegrinaggio: il nostro lavoro teologico “proviene da mani sporche dalla polvere della vita quotidiana, da menti preoccupate dalle sofferenze umane, da cuori che piangono per i più bisognosi. Proviene da persone già in pellegrinaggio di giustizia e pace.” L’unità cristiana ottiene allora uno scopo molto concreto e una rilevanza contemporanea: “La chiesa necessita di essere rinnovata e di ricevere da Dio il dono della comunione, di modo che possiamo essere testimoni di tale dono nel mondo.”

Tre nuove chiese sono infine state ammesse come membro del CEC nel corso della riunione del Comitato centrale. Tra loro la Chiesa riformata olandese del Sudafrica (Dutch Reformed Church, DRC), fondata nel Seicento, che comprende più di un milione di fedeli e tre Facoltà teologiche. Era stata tra le chiese fondatrici del CEC nel 1948, ma ruppe le sue relazioni con l’organizzazione negli anni sessanta a causa delle dure critiche del mondo ecumenico al suo coinvolgimento e sostegno nei confronti dell’apartheid. Nel 1986 questa chiesa ha tuttavia respinto ogni forma di razzismo e accolto quali suoi membri tutti i credenti. Con grande emozione, il segretario generale Olav Fykse Tveit si è rallegrato di questa vera e propria conversione, salutando i delegati della DRC: “Ora vi possiamo accogliere come partner nella costruzione di un futuro di giustizia per tutti i popoli”.

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