L’amore: il volto di Dio riflesso in tanti volti

Foto di James Wainscoat su Unsplash
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5 dicembre 2025

Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 22, 34-46 (Lezionario di Bose)

In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
41Mentre i farisei erano riuniti insieme, Gesù chiese loro: 42«Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». 43Disse loro: «Come mai allora Davide, mosso dallo Spirito, lo chiama Signore, dicendo:

44Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi?

45Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?». 46Nessuno era in grado di rispondergli e, da quel giorno, nessuno osò più interrogarlo.


«Ha (ri)ordinato, in me, l’amore» (Ct 2,4). Sì, il Signore che viene armonizza il disordine dei nostri amori, e ci insegna la dimensione duale dell’amore, condensato nella profondità di «due comandamenti» (Mt 22,40).

«In mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni – ai legalismi di ieri e di oggi – Gesù opera uno squarcio che permette di scorgere due volti: il volto del Padre e quello del fratello. Non ci consegna due formule o due precetti: non sono precetti e formule; ci consegna due volti, anzi un solo volto, quello di Dio che si riflette in tanti volti, perché nel volto di ogni fratello, specialmente il più piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è presente l’immagine stessa di Dio» (papa Francesco).

Innanzitutto l’amore di Dio, che informa di sé tutte le dimensioni dell’umano: il soffio vitale e il desiderio dell’anima; il cuore e la mente, cioè tutto l’uomo nella sua coscienza, nella sua intelligenza e nella sua libertà, con la profondità della sua vita interiore e della sua capacità di pensiero, con il bagaglio della sua memoria, e con la tensione creativa delle sue scelte, dei suoi progetti e delle sue opere. L’amore pervade tutto l’uomo, in tutto il suo essere, o non è.

Ciò nonostante, ciascuno di noi sperimenta la difficoltà di amare un «Dio che non vede» (1Gv 4,19), un Dio elusivo e nascosto anche nella rivelazione del suo mistero (cf. Is 45,15), il cui nome invocato resta pur sempre: «Tu, l’Aldilà di tutto» (Gregorio di Nazianzo). Oppure, per via di paradosso, amare Dio può apparire immensamente semplice, ingenuamente semplice, fino al rischio dell’ipocrisia, perché in questa relazione possiamo – per così dire – “vaporizzare” l’altro termine, cioè Dio, sino all’astrattezza inconsistente di una nostra idea di dio, di un dio che non vediamo, non tocchiamo e non percepiamo con i nostri sensi, così lontano dalla concretezza delle nostre vite, che finisce per non sfiorarle neppure.

È proprio dinanzi a questa possibile fuga dalla realtà che Gesù aggiunge la seconda tavola del suo dittico: il comandamento dell’amore del prossimo, che si inscrive nella dimensione orizzontale della vita e delle relazioni. È come se l’amore per Dio implicasse una sua traduzione incarnata nella prosa feriale del quotidiano, nella faticosa litania dei giorni, nelle asperità dei nostri cammini terreni. «Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20).
L’amore di Dio trova nell’amore per l’altro la sua visibilità necessaria, perché l’amore è tale se si fa concretezza, gesto, tatto, prossimità, eloquenza del corpo, spazio abitato di fraternità in mezzo all’anonimato dei non-luoghi, tempo donato e offerto come evento di vita (kairos) e non come chronos divorante.

«Da questi due comandamenti (di)pendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,40): a questi due comandamenti sta appesa tutta la Scrittura, come una porta sospesa ai due cardini che la reggono, quella porta che ci introduce nel mistero di Dio e dell’uomo. L’amore, come la croce, sta proprio in questo «segno dell’estensione» (Didaché 16,6), come un abbraccio che vuole raggiungere le lontananze più remote, nelle altezze e nelle profondità, in lunghezza e larghezza.

un fratello di Bose