Viste da fuori: con gli occhi dell’altro

Avvenire, 5 giugno 2016

Viste da fuori: con gli occhi dell’altro ci si guarda forse più a fondo. Il XIV Convegno Liturgico Internazionale incentrato sull’esterno delle chiese, conclusosi ieri a Bose, ha portato a compimento il primo ciclo di queste iniziative annuali, sorte, come ha ricordato il priore Enzo Bianchi “per riflettere sul legato e sull’attuazione del Concilio”. La realtà è andata cambiando pur in questi pochi anni e s’è imposto un più vasto ripensamento, che tenga in conto la crescente pluralità e interconnessione che si realizza nel vecchio continente dove, ha evidenziato Bianchi, si vive la grande tradizione della pluralità delle culture che ne informano l’anima cristiana, aperta all’accoglienza e alla conoscenza dell’altro, e capace, come nessun’altra cultura nel mondo, di esercitare l’autocritica grazie alla quale sa migliorare nel tempo. Per cui, ha spiegato fr Goffredo Boselli si aprirà ora un nuovo ciclo, che sarà meglio definito e concepito con i contributi di molti. E su una base ben solida, la cui sostanza si è ravvisata nell’excursus concretatosi nei corso dei tre giorni del convegno dove, significativamente, sin dai primi interventi di natura teologica e pastorale è stato posto il tema della dinamicità di una Chiesa “in uscita”, pronta all’ascolto e capace di rifletterlo anche nelle sue testimonianze inscritte nei luoghi e nelle pietre.

Proprio al dinamismo della Chiesa ha fatto riferimento mons. Mauro Galantino nella sua prolusione di apertura. Un concetto, quello del dinamismo dialogico, che è stato graficamente rappresentato da mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto per la Segreteria della comunicazione della Città del Vaticano, che ha mostrato come il cinema consenta di esperire punti di vista differenti e di “entrare” in eventi lontani nel tempo e nello spazio. Acquisendone così una conoscenza nuova e stabilendo un modo di vedere la realtà utile anche per concepire l’architettura delle chiese, che sono luoghi particolarmente vocati alla riflessione su di sé e sul mistero dell’uomo di fronte al creato. Così, guardandole “da fuori”, ai ragionamenti teologici sulle chiese, proposti da Alberts Gerhards e Paul Janowiak, rispettivamente del Seminario liturgico dell’Università di Bonn e della Santa Clara university di Bekeley, si sono unite le indagini di personaggi quali Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani che parlando del tema della soglia ha illustrato il senso della porta scolpita da Giacomo Manzù, la più recente tra quelle di cui è dotata la basilica di San Pietro.

I significati affettivi, culturali, simbolici dell’esterno delle chiese, sono stati discussi da Birgit Kastner dell’Università di bemberg. Un discorso che è stato approfondito entrando nel dettaglio di singole esperienze grazie alle testimonianze offerte da noti progettisti. A partire da Paolo Portoghesi, studioso del barocco oltre che autore di molteplici chiese: egli si è soffermato in particolare sulla prima da lui costruita in Salerno, in epoca immediatamente postconciliare, concepita in pianta come una serie di cerchi che si intersecano e che si elevano a gradonate simili a quelle del teatro greco. Portoghesi ha anche riferito sui ripensamenti che la forma architettonica suscita in lui come autore e nei fedeli, come abitatori della chiesa.

Mentre in specifico sulla facciata della chiesa da lui progettata recentemente per Sesto San Giovanni si è soffermato Cino Zucchi, spiegando come il movimento a “rientrare” di questa sia inteso a significare accoglienza e apertura: basta poco all’architettura per esprimere un significato.

Alla conclusione del convegno, il prof. Vittorio Gregotti ha ripercorso la storia dell’architettura per spiegare come cambiato sia il rapporto tra chiesa e città, col mutare della sensibilità e della cultura prevalente: un tempo protagonista assolute, dopo l’evoluzione imposta dalla “laicizzazione” illuminista, la chiesa è ora uno dei luoghi che ne segnano il tessuto. E questo richiede che la sua concezione sia diversa. Per esempio, ha chiosato Severino Dianich, che sul piano architettonico nei centri parrocchiali non si vivano come separati dall’aula per il culto, bensì ben coordinati con essa, i luoghi preposti alla carità, all’accoglienza, all’educazione. E Rafael Moneo, la cui principale opera architettonica è la cattedrale di Los Angeles, ha illustrato il modo come questa è stata concepita, quale esempio di interconnessione tra la chiesa e il suo contesto, che è quello di una delle città più emblematiche del mondo attuale globalizzato. Su un lotto di terreno affiancato da un’autostrada urbana, la cattedrale è stata progettata come una “cittadella” la cui abside si rivolge a est ma contemporaneamente è anche facciata che  guarda sul sagrato: in una specie di inversione che fa dei percorsi interni ed esterni all’edificio un luogo privilegiato per gli incontri delle tante comunità nazionali che vivono nella capitale californiana.

E il prof. Francesco Dal Co, storico dell’architettura e docente all’IUAV, ha spiegato che, a differenza di quel che si suol credere, nel ‘900 proprio per la Chiesa sono state realizzate alcune tra le più rilevanti architetture contemporanee. Che hanno nelle opere di Hans Dom van der Laan alcuni degli esempi massimi di spazi più densamente eloquenti pur nella loro purezza. E se il 900 è stato l’epoca dei movimenti dove le masse hanno rinunciato al volto umano, le chiese sono state il luogo dove le comunità si sono sempre trovate, lì riflettendo il proprio volto umano. Nell’attesa: di un evento che vive nella tradizione tanto quanto è sempre ricco di speranza.

Leonardo Servadio