Conclusioni del Convegno

VII Convegno Liturgico Internazionale Bose, 4–6 giugno 2009
CHIESA E CITTÀ
Organizzato dal Monastero di Bose
in collaborazione con Ufficio Nazionale Beni Culturali Ecclesiastici
della Conferenza Episcopale Italiana

GIANCARLO SANTI e STEFANO RUSSO
GIANCARLO SANTI e STEFANO RUSSO
CONCLUSIONI DEL CONVEGNO

Monastero di Bose, 6 giugno 2009

(mons. Giancarlo Santi a nome del Comitato scientifico)

 

 


Premesse

1. A chi si è rivolto il convegno
Come prima premessa delle conclusioni ricordo che anche il VII convegno liturgico internazionale di Bose, così come i precedenti, è stato pensato e di fatto ha visto la partecipazione di più di una categoria di persone.
In primo luogo vi sono architetti, artisti, artigiani, professionisti e studenti; progettisti che sono qui per cercare, raccogliere e ricevere informazioni, intuizioni, riferimenti, prospettive in vista del loro lavoro. Sono circa la metà dei presenti e non sono solo italiani.
Vi sono poi numerosi docenti universitari, studiosi e ricercatori che sono qui a proporre, ascoltare, riflettere e scambiare idee in questa sorta di accademia multidisciplinare che ruota intorno alla liturgia. Sono approssimativamente il trenta per cento dei presenti.
Vi sono infine non pochi pastori, vescovi, parroci, laici impegnati che cercano qui idee per la loro attività pastorale. Circa il venti per cento dei presenti.
Aggiungo che il lavoro del convegno si è sviluppato sia durante le sessioni sia al di fuori di esse durante i pasti e negli lunghi intervalli. La preghiera in chiesa, che ha visto i congressisti uniti alla comunità monastica, è stata una componente del convegno difficilmente valutabile ma essenziale.

2. Chi ne trae le conclusioni
Non è dunque facile trarre conclusioni valide per tutte le categorie di partecipanti. Ognuno perciò dovrà affrontare questa fatica che, per il resto, avviene spontaneamente secondo i ritmi e i tempi propri a ciascuno.

3. Le mie conclusioni sono pensate, in particolare, per i progettisti e presuppongono i contributi dei precedenti convegni. Sono conclusioni di carattere panoramico che cercano di ricostruire e dare ordine in forma sintetica ai punti toccati e alle suggestioni principali emerse dalle relazioni e dagli interventi. Qualcuno, infatti, ha avuto l’impressione di una certa frammentarietà e di qualche salto. Tento di rimediare, per quanto possibile.

4. Ciò di cui non si è parlato o di cui si è parlato poco. Non tutti i temi sono stati toccati. Cito tra gli altri il tema del “santo” e del “sacro”, che è stato giustamente e ripetutamente evocato. (A questo proposito rinvio al testo di Severino Dianich, “La Chiesa e le sue chiese” e al contributo dello stesso autore pubblicato nel volume miscellaneo: Carmelo Dotolo ed., “Teologia e sacro. Prospettive a confronto”, Roma Dehoniane, 1995, pp. 55 – 75.) La prospettiva storica non è stata molto coltivata, ma questa costituisce una caratteristica dei nostri convegni. Anche la prospettiva urbanistica è rimasta sullo sfondo. Gli architetti se ne saranno accorti; questo tema, trattando noi di “città”, avrebbe avuto bisogno di un suo spazio.

I fili del discorso

Come ho anticipato, le conclusioni che propongo sono state pensate in modo particolare, ma non esclusivo, per gli architetti ai quali è chiesto di fare sintesi, cioè, di volta in volta è chiesto di progettare, proporre come usare o come diversamente e destinare le chiese nella città attuale in vista di quella futura.
In sintesi, il filo del discorso del nostro convegno è frutto di quattro contributi tra intrecciati tra loro: quello dei sociologi, degli storici, dei teologi, dei progettisti/operatori pastorali.

1. Il contributo dei sociologi.
Il contributo dei sociologi, posto subito dopo la solida e sintetica introduzione di Enzo Bianchi, è stato un invito rivolto ai progettisti e ai committenti perchè guardino la realtà anche dal loro punto di vista, quello dei sociologi, intendo. Non solo da quello dei pastori/committenti, così rilevante e di solito determinante, come sappiamo. L’invito è semplice ma non mi pare scontato. Poiché guardare in faccia la realtà non è sempre agevole, dal momento che richiede vista acuta, attenta osservazione di fatti, elaborazione concettuale competente. Talvolta risulta anche poco gradevole poiché, spontaneamente, vorremmo che i fatti fossero quelli che noi stessi preferiamo o quelli ai quali siamo già abituati. O che semplicemente non disturbano e ci danno conferme e serenità. A questo proposito mi sembra importante ricordare che chi progetta lo fa per il futuro; non necessariamente per i tempi lunghissimi ma certo per un discreto numero di anni a venire. Perciò, ogni progetto, per evitare di risultare effimero al di là delle intenzioni, va collocato, per quanto possibile, nella prospettiva del futuro. E su questo punto il contributo dei sociologi può essere di grande aiuto. I sociologi, in particolare, (D. Hervieu – Leger) hanno nuovamente ricordato che viviamo ormai in un tempo e in una città caratterizzata dal fatto di essere ormai fuori dal “tempo della parrocchia e della cattedrale”. Queste ultime, cioè, non sono più dei riferimenti fisici e istituzionali unitari. La società e la città attuali sono realtà dotate di molteplici riferimenti istituzionali, religiosi e culturali in cui la condizione umana più diffusa è quella dell’individualismo. Le Chiese e gli edifici di chiesa sono dunque chiamati a riconoscere percorsi individuali e ad andare loro incontro. I sociologi , inoltre, (M. Gauchet) hanno ribadito che siamo ormai fuori dal tempo in cui la religione era il fattore di controllo della politica e delle sue scelte né costituisce più come un tempo il fattore principale di aggregazione sociale. Non di meno vi è spazio per le religioni e per i suoi edifici. Esse/essi sono chiamate a diventare fonte di ispirazione e di proposta da offrire alla riflessione libera degli individui e della società intera.

2. Il contributo dello storico (A. Odenthal), anche se circoscritto al caso di Colonia, ha richiamato una prospettiva di studio e di lavoro di fondamentale importanza. Ha ricordato l’influsso profondo che ha avuto la cattedrale nella storia della città europea. Il richiamo alla vicenda storica della città e del complesso sistema degli insediamenti ecclesiastici assai vario e ricco in essa presenti, rimane un valore anche per il futuro e può suggerire ipotesi valide anche per le scelte pastorali.

3. Il contributo dei teologi si è articolato in due momenti, entrambi attenti a svolgere il tema del rapporto tra città e Chiesa oggi. L’intervento di ecclesiologia (S. Dianich) ha proposto in modo molto chiaro una chiave di lettura meno usuale: la costruzione delle chiese costituisce una espressione non marginale ma primaria della Chiesa stessa. Nelle sue chiese – come le progetta, come le usa., come dà loro nuove destinazioni - la Chiesa comunica se stessa e anche come essa intende declinare i rapporti con la società e la città. Questo avviene in ogni epoca storica anche se non in modo del tutto consapevole. Oggi, a questo riguardo, è importante che i progettisti facciano riferimento alle quattro Costituzioni del Concilio Vaticano II. Non solo a quella sulla liturgia (Sacrosanctum Concilium), ma anche a quella sulla parola di Dio (Dei Verbum), sulla Chiesa (Lumen Gentium), sulle relazioni tre Chiesa e società (Gaudium et Spes). Dal complesso dei documenti conciliari, ancora del tutto attuali, emerge l’immagine che la Chiesa ha di se stessa e come la Chiesa stessa intende rapportarsi con la società e la cultura contemporanea. La Chiesa si pone in posizione di condivisione delle gioie e delle speranze, dei timori e delle sofferenze della società attuale, in dialogo con essa, in atteggiamento di umile servizio, portando come unica ricchezza il vangelo. Evidentemente da questo orizzonte di pensiero sono esclusi atteggiamenti come il dominio e la competizione. Questa posizione ha certamente notevoli implicazioni progettuali ed è di grande importanza per i progettisti. Coerentemente con questa prospettiva il contributo del liturgista (K. Pecklers) ha voluto mettere in luce come la liturgia possa ancora oggi continuare a essere luogo di ascolto e di accoglienza dei diversi bisogni e delle povertà della società, presenti in modo amplissimo nella città contemporanea.

4. Il contributo di esperienza presentato da alcuni progettisti e da pastori intendeva mettere in luce come già oggi i problemi e le prospettive richiamate dai relatori trovano risposta concreta. Nel caso della cattedrale di Bruxelles si è percepito che cosa significa dare risposta e ospitare nella medesima cattedrale istanze tanto diversificate e non convergenti senza penalizzarne alcune e, soprattutto, senza penalizzare la fisionomia propria della cattedrale stessa. Impresa faticosa, ma possibile, mi è sembrato di capire. Il nuovo complesso parrocchiale di Modena ha posto in luce come in una città ricca di storia si può progettare una nuova presenza di chiesa puntando su tre registri: comunità, liturgia, carità; non più solo sulla liturgia. La ricca rassegna riguardante le nuove chiese in contesti non cristiani ha tentato di documentare i tentativi di creare forme di presenza in dialogo con la cultura locale, in modi, con accentuazioni ed esiti diversi. I progetti di trasformazione di antiche chiese un tempo appartenenti a famiglie religiose nella città di Maastricht, a sua volta, ha documentato la singolare capacità di adattamento di tali edifici a destinazioni molteplici nella nuova città. Anche al di fuori di destinazioni religiose gli edifici di chiesa costituiscono una importante risorsa cultuale per la città attuale anche quando la loro destinazione non sia più attuale. Il progetto di nuova complesso parrocchiale di Corciano, località posta nelle vicinanze di Perugia, ha documentato come sia possibile creare una nuova presenza di Chiesa con discrezione e sensibilità, in relazione aperta e attiva con antichi insediamenti urbani, assumendo nello stesso tempo la lezione delle antiche architetture ecclesiastiche italiane. L’intervento posto a conclusione (F. Mennekes sj) ha messo in luce in modo eccellente quanto la liturgia oggi possa essere capace di provocare “la domanda”. Questo avviene quando la liturgia si allea con l’arte contemporanea e quando utilizza le ferite prodotte all’architettura dalla guerra per dare alle persone e alla comunità celebrante il ruolo e lo spazio di protagonista che compete loro. Città e chiesa entrano in rapporto vivo nell’ambito della liturgia, quando con coraggio e competenza si accetta il dialogo effettivo con la cultura e l’arte contemporanea.

mons. Giancarlo Santi
a nome del Comitato scientifico