I sommersi e i trasfigurati: una chance per tutti noi

Partecipanti al convegno del monastero di BoseI SOMMERSI E I TRASFIGURATI: UNA CHANCE PER TUTTI NOI

La Stampa, 18 settembre 2007

«La bellezza salverà il mondo», scriveva Dostoevskij, ispirandosi a una tradizione millenaria. Per i Padri della Chiesa ortodossa, la bellezza «salva» perché è una trasfigurazione dello spettatore. Agisce su chi la contempla come la trasfigurazione di Cristo. Dà la capacità di vedere la struttura spirituale e cristallina delle cose, al di là delle parvenze materiali. Ma non è solo questo, ad ascoltare le relazioni dei dottissimi partecipanti - da Kallistos Ware a André Louf, da Michel van Parys al vescovo Ilarion Alfeev di Vienna, da Christos Yannaras a Ghelian Prochorov -, il messaggio del convegno del monastero di Bose su La trasfigurazione di Cristo nella tradizione spirituale ortodossa, che si concluderà domani: una kermesse ecumenica, aperta dai messaggi del Patriarca di Costantinopoli e di quello di Mosca oltre che delle massime autorità pontificie, tra cui i cardinali Sodano, Bertone e Kasper. Se è vero, come ha ribadito il priore Enzo Bianchi, che «la trasfigurazione è un mistero di trasformazione: il nostro corpo e questa creazione sono chiamati a diventare altro», se dunque la Metamorphosis sul monte Tabor adombra la possibilità di metamorfosi di tutti noi, ecco che l’attualità del tema emerge anche in chiave politico-ecclesiastica. Quasi tutti i relatori indicano una convergenza fra le letture orientale e occidentale dell’episodio narrato dai sinottici, solo apparentemente rinnegata nei secoli: prima con la scolastica, poi alla vigilia della caduta di Costantinopoli in mano turca, con la controversia palamita.

Una sorta di - forse involontaria - strumentalizzazione politica delle differenze tra culture religiose bizantina e russa da un lato, occidentale dall’altro, che invece hanno sempre formato una sola civiltà spirituale. Se l’interpretazione della trasfigurazione come divinizzazione del cuore è quanto mai viva in occidente, dove culmina con Pietro il Venerabile, la presunta cupezza della mistica occidentale si ritrova in realtà nelle espressioni più alte della recente mistica ortodossa. Per Serafim di Sarov come per gli starcy di Optina la visione della luce è in realtà visione del buio; per quel resistente alla violenza stalinista che fu Silvano dell’Athos «l’esperienza della trasfigurazione deve passare attraverso la notte della disperazione». C’è insomma una faccia nascosta della tradizione ascetica, che è comune a tutte le chiese e che può essere riassunta dalla celebre frase: «Tieni lo spirito all’inferno e non disperare». La trasfigurazione si oppone allora a quella «sfigurazione» dell’umanità novecentesca - e non solo - che è l’inferno della guerra.

Silvia Ronchey