Scrittura e Tradizione fonti di uno stile di vita

© L'Osservatore Romano, 11 settembre 2011 - pg.6
il metropolita di Bursa, Elpidophoros Lambriniadis, del Patriarcato di Costantinopoli
 
Il metropolita di Volokolamsk, Hilarion Alfeyev, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scrittura e Tradizione fonti di uno stile di vita

L'Osservatore Romano, 11 settembre 2011, p. 6

Concluso al monastero di Bose
il convegno ecumenico di spiritualità ortodossa

Non vi può essere alcuna spiritualità e condotta di vita ortodossa vera e autentica che non sia basata sulla sacra Scrittura e non sia da essa ispirata. La sacra Scrittura costituisce la fonte, il principio e il fondamento di quella che è chiamata «spiritualità ortodossa». Lo ha detto stamane il metropolita di Bursa, Elpidophoros Lambriniadis, del Patriarcato di Costantinopoli, all’inizio della sua relazione tenuta al monastero di Bose (Biella) in chiusura del Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa. Quest’ultima — ha spiegato — «non consiste soltanto in belle idee, sublimi pensieri e gradevoli riflessioni; è piuttosto un ethos ecclesiale equilibrato e autentico, uno stile di vita puro, un comportamento retto, un atteggiamento e una condotta di vita precisi».

La spiritualità ortodossa «non è l’abilità a stare ritto su un alto pulpito, né l’applauso eclatante per il conseguimento di risultati eccezionali, né una forma di nirvana che non esiste nemmeno nell’ortodossia; e non è neppure una qualche condizione impeccabile o una passività, un’immobilità o una qualche perfezione. Secondo san Gregorio di Nissa la perfezione nella spiritualità ortodossa è un viaggio interminabile. La lotta spirituale — ha detto ancora Elpidophoros — è permanente e senza fine, incessante e che dura tutta la vita. In tale lotta ci saranno ritardi, ricadute, sconfitte, esitazioni, interruzioni e deviazioni. Questo è il motivo che sta dietro alla verità evangelica della metànoia: pentimento, cambiamento di mentalità, nuovo inizio, rinnovamento sincero della vita umana per opera della grazia divina. Il pentimento non ha niente a che fare con un imbarazzo ansioso né con sensi di colpa, ma piuttosto con il riconoscimento dell’essere peccatori, l’accettazione della propria inadeguatezza e il profondo desiderio di essere nuovamente uniti a Cristo. È un’opportunità di esame e di conoscenza di sé,riconoscendo la propria prigionia nei confronti delle passioni empie e la propria mancanza delle virtù divine, nonché il proprio disperato bisogno di essere liberati dal peccato. Il nostro ritorno a Dio — ha aggiunto — incontrerà sempre le braccia aperte del Padre amoroso e pieno di attesa, pronto ad abbracciare e a baciare affettuosamente il figlio prodigo».

La vita spirituale ortodossa «rende il cuore del credente compassionevole, soddisfatto, sereno, armonioso e pacificato». Il praticante autentico della spiritualità ortodossa è reso simile a Cristo, cioè fa della vita di Cristo la propria vita. È allora che il credente può davvero divenire theophoros (portatore di Dio), christophoros (portatore di Cristo) e pneumatophoros (portatore dello Spirito).

Secondo il metropolita di Bursa, «la spiritualità è la grazia di una vita nello Spirito santo; è una vita purificata dallo Spirito santo dopo una lotta in vista della purezza. Con “purezza ” non intendiamo un’etica sterile con criteri esterni prestabiliti. Una persona autenticamente spirituale è una persona adornata con i doni dello Spirito santo. Nella vita spirituale ciò che conta non è tanto ciò che uno pensa o immagina, ciò che uno vuole essere o crede di essere, quanto piuttosto ciò che una persona davvero è nel concreto». È pericoloso e discutibile usare come criterio il sentire psicologico o affettivo; questo non è un indicatore preciso della reale condizione spirituale di una persona. «La vita spirituale non è ciò che piace a una persona, ciò in cui si trova a proprio agio o in cui prova diletto. Una tale spiritualità individualistica — afferma — è centrata su di sé ed egoistica, dal momento che cerca di piacere al proprio “io”, di produrre la propria felicità, che conduce all’indolenza e all’indifferenza spirituali». I doni dello Spirito santo «non sono armi con cui fronteggiare i nemici, simili a un’efficace panoplia; sono invece doni di amore che sono riversati su coloro che lottano con umiltà e onore». I doni dello Spirito santo «non sono concessi affinché qualcuno prevalga o sorpassi gli altri, ma piuttosto affinché qualcuno progredisca spiritualmente e si metta al servizio degli altri. La Chiesa ha la missione di avvicinarsi agli esseri umani esistenzialmente e amabilmente per insegnare agli altri come amare ed essere amati, per guarire gli altri e insegnare loro ad accogliere gli altri, a essere in comunione con gli altri e spronarli al cambiamento». Il fine della spiritualità ortodossa è la santificazione e la santità: «Dobbiamo stare attenti a non trascurare o ad abbandonare questo fine — ha ammonito Elpidophoros — assumendo una miriade di altre attività che sono estranee alla vera natura e al vero scopo della spiritualità».

La relazione conclusiva del convegno è stata affidata al metropolita di Volokolamsk, Hilarion Alfeyev, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, il quale ha sottolineato l’importanza della sacra Scrittura nella teologia ortodossa contemporanea. «La comprensione e l’interpretazione della sacra Scrittura nella teologia ortodossa — ha osservato — per alcuni aspetti differiscono dal modo in cui la Scrittura è concepita nelle Chiese e scuole teologiche occidentali. Questa differenza riguarda an zitutto il rapporto tra Scrittura e Tradizione. Per la consuetudine ortodossa è innaturale contrapporre l’un l’altra Scrittura e Tradizione, come avviene nella teologia occidentale. Per la teologia ortodossa, a differenza dei teologi di Riforma e Controriforma, non importa discutere se il primato spetta alla Scrittura o alla Tradizione, quanto evidenziare l’unità di Scrittura e Tradizione nella viva tradizione ecclesiale, dove un ruolo speciale è svolto dall’insegnamento ortodosso sull’azione dello Spirito santo nella Chiesa».

Nella concezione ortodossa la Tradizione comprende non solo i testi (liturgici, dogmatici, canonici), ma anche quello che non è riconducibile al testo, ad esempio gli atti dei celebranti e dei fedeli durante la liturgia, lo stile e i canoni dell’iconografia, le melodie dei canti liturgici, le consuetudini di preghiera. «La Tradizione — ha ricordato Hilarion — sottintende anche quella realtà spirituale che non si esprime verbalmente ed è custodita nella silenziosa esperienza della Chiesa, tramandata di generazione in generazione. L’unità e la continuità di questa esperienza, custodita nella Chiesa fino ad oggi, costituisce l’essenza della Tradizione ecclesiale. Uno dei maggiori teologi ortodossi del XX secolo, Vladimir Losskij, definiva la Tradizione come “vita dello Spirito Santo nella Chiesa, vita che comunica a ogni membro del Corpo di Cristo la capacità di sentire, accogliere, riconoscere la Verità nella luce che le è propria, non nella luce naturale della ragione umana”». Nell’ortodossia la Scrittura è vista come parte della tradizione. Questa visione del rapporto tra Scrittura e Tradizione è importante per la concezione ortodossa dell’ispirazione divina della Bibbia, «che si distingue radicalmente — afferma il metropolita di Volokolamsk — da analoghe concezioni sostenute nella teologia fondamentalista protestante. Per il fondamentalista protestante l’ispirazione divina è legata all’infallibilità letterale del testo scritturale, al “dettato Divino”. Per la tradizione ortodossa l’ispirazione divina è legata al fatto che la Scrittura è una parte della Tradizione, e la tradizione è la vita dello Spirito santo nella Chiesa. La Scrittura nasce all’interno della tradizione religiosa (Tradizione), è trasmessa dalla tradizione religiosa ed è interpretata dalla tradizione religiosa».

Secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa ortodossa, l’esperienza della comunione a Cristo nello Spirito santo è superiore a qualunque espressione verbale di questa esperienza, che sia la sacra Scrittura o qualunque altra fonte scritta: «I teologi ortodossi sottolineano che Cristo non ci ha lasciato alcuna riga scritta. Il cristianesimo è la religione dell’incontro con Dio, e non dell’interpretazione razionalistica dei testi scritti. I cristiani credono nella risurrezione di Cristo non perché ne hanno letto su di un libro — conclude Hilarion — ma perché hanno conosciuto il Risorto nella loro esperienza interiore».