La lotta di Giacobbe

Domenica 03 Marzo 2019

Massimo Recalcati
eaab8be7d21f42bbeb0ec909c348a616.jpg

Domenica 3 marzo si è tenuto a Bose il confronto con Massimo Recalcati. L’incontro è stato introdotto dal fondatore di Bose fr. Enzo Bianchi, che dopo aver ringraziato il noto psicanalista e amico, ha presentato il tema dell’incontro: “La lotta di Giacobbe”. Episodio illustrato in circa 560 opere d’arte e testo veramente enigmatico che presenta la lotta di Giacobbe con uno strano personaggio che “per allusione, non per rivelazione, può sembrare che sia Dio”.

Per Recalcati la lotta di Giacobbe rappresenta il “punto ombelicale” della sua storia, una storia che ci mostra un accesso tormentato e faticoso a una dimensione generativa, feconda, costruttiva della fratellanza, oltrepassando in questo modo la figura di Caino, che rappresenta la fratellanza come luogo dell’odio, del trauma e della violenza”. La Bibbia, come poi anche la psicanalisi, “pone all’origine dell’essere umano non l’amore, ma l’odio”. Caino, dunque, non è la figura dell’inumano, della bestialità, bensì è “il luogo dell’umano”. All’inizio “la fratellanza non è il luogo di una relazione amorosa e solidale, ma di una contesa, che implica che il fratello sia innanzitutto un intruso”. Il bambino nasce “difendendosi dalla vita, dal mondo come luogo di perturbazione, destabilizzazione, minaccia”, con un “rifiuto di ciò che non può governare, per il mondo come estraneità, come straniero”. “La tendenza a chiudersi su stessi”, che ha un grande rilievo politico nel nostro tempo, “riflette non la barbarie, ma una tentazione della vita”.

Giacobbe è l’anti-Caino, perché è stato Caino, infatti ha desiderato e simbolicamente realizzato la morte di Esaù, usurpando la sua primogenitura. Ma compie un percorso, che passa dall’attraversamento di un fiume, il “fiume interno, tumultuoso e selvaggio” della sua passione narcisistica: Giacobbe infatti non ha mai accettato di essere il secondo. La notte dell’episodio della lotta, Giacobbe rimane solo, ovvero non si confronta più con l’immagine del fratello in una rivalità invidiosa e aggressiva, ma lotta con un’alterità interna, la parte “Caino” di sé. Questa lotta, la cui parola rimanda etimologicamente alla polvere, è caduta, crisi, un luogo profondamente anti-narcisistico che diventa luogo di trasformazione, che ha, nel testo, due esiti. Il primo è una lussazione, che si può paragonare al concetto psicanalitico di “castrazione”, che coincide con l’esperienza del “non tutto è possibile”, della caduta dell’attaccamento all’immagine narcisistica di noi stessi: tutto questo in realtà si rivela un guadagno, perché porta una maggiore libertà e vitalità del desiderio. Il secondo esito è l’evento della “nominazione”. Da una parte Giacobbe si chiamerà “Israele”, perciò passa da pensiero dell’io al pensiero del collettivo, di una alleanza possibile. Dall’altra è importante l’evento in sé della “nominazione”, che significa per Giacobbe uscire dall’indifferenziazione con il fratello, che era cominciata già nel grembo materno, attraverso una separazione. “Dove c’è opera di Dio, c’è il taglio”. Quando “Israele” esce dalla tenda zoppicando, può incontrare il fratello Esaù, e può dire “io sto alla tua presenza come davanti a Dio”. Il fratello, dunque diventa il luogo più radicale del prossimo in quanto degno di amore: l’ombra di Caino è vinta.

Nel pomeriggio Recalcati ha risposto alle numerose domande degli ascoltatori che hanno permesso di approfondire diversi aspetti della relazione, sia dal punto di vista biblico, sia da quello psicanalitico.