Olio di letizia

Alberi di olivo della fraternità di Ostuni
Alberi di olivo della fraternità di Ostuni

Nella cultura biblica e mediterranea l’olio di oliva è un alimento indispensabile, come il frumento. Pane ed olio sono gli alimenti base. Tutti ricordiamo l’episodio della vedova di Sarepta cui erano rimasti solamente “un pugno di farina nella giara e un po’ di olio nell’orcio”: nutrienti minimi che non si esauriranno e non diminuiranno, secondo la parola del profeta Elia (cf. 1 Re 17,7-16). 

L’olio di oliva (shemen zajit, dove il primo termine equivale a grasso e il secondo ha a che fare con lo splendore) è un alimento quotidiano ancora più basilare del vino festivo. Nel famoso apologo di Jotam, tre sono gli alberi pregiati: l’olivo, il fico e la vite, ma prima di tutti l’olivo, “grazie al quale si onorano Dio e gli uomini” (Gdc 9,9). Infatti, oltre al suo valore nutritivo, l’olio di oliva ha anche un’importanza cosmetica e medicinale. Degli abitanti di Gerusalemme Il profeta Isaia lamenta “ferite ancora vive, non curate né lenite con olio” (Is 1,6). E il buon Samaritano versa appunto olio e vino sulle ferite dell’uomo incappato nei briganti. 

L’olio lenisce, pulisce e rimargina le ferite, ma serve anche da profumo: è l’unguento del profumiere (o farmacista) di cui parla Qohelet, segno di gratuità e di festa: “In ogni tempo siano candide le tue vesti e l’olio non manchi sul tuo capo” (Qoh 9,8). Anche Gesù raccomanda, a chi digiuna, di profumarsi la testa e lavarsi la faccia. Versare sul capo olio profumato è un gesto normale di ospitalità, come offrire il vino da bere: “Tu ungi di olio il mio capo e la mia coppa trabocca” (Sal 23,5). Si tratta, per lo più, dell’olio “fresco” (ra‘anan), ossia verdeggiante, appena spremuto, come dicono ancora i Salmi (52,10; 92,11). L’olio nuovo, profumato, è il segno della massima gioia, di una gioia che possiamo davvero chiamare “messianica”:

Dio, il tuo Dio, ti ha unto con olio di letizia,
a preferenza dei tuoi compagni:
di mirra, aloe e cassia
profumano le tue vesti (Sal 45,8-9).

Si ricorda che il termine ebraico Mashiach, “Messia”, significa appunto “Unto con olio”, e questa unzione era un atto di investitura. Anche in Egitto, il Faraone “ungeva” di olio i suoi ambasciatori, i quali lo rappresentavano con la sua stessa autorità. Se Dio unge di olio il re d’Israele significa che lo designa come il suo vizir, il suo rappresentante in terra. L’unzione di olio distingue pertanto le persone consacrate: re e sacerdoti. Tant’è vero che i due Unti, quello regale e quello sacerdotale, sono chiamati dal profeta i due “Olivi” (Zc 4,3). Che cosa produce l’unzione? Certamente esalta la bellezza dell’uomo consacrato da Dio: l’olio “fa brillare il volto dell’uomo” (Sal 104,15). Ma soprattutto l’olio rappresenta un elemento di conservazione. Quando Samuele versa il corno dell’olio sul capo di David, “lo Spirito del Signore irruppe su David da quel giorno in poi” (1Sam 16,13). Riposa su di lui in maniera permanente, e anche nel Nuovo Testamento si dice che l’unzione ricevuta dal Santo “rimane” in noi (cf. 1Gv 2,27).

Infine, l’olio è anche un combustibile: alimenta lo stoppino delle lampade o la stoffa imbevuta d’olio delle fiaccole accese. Perciò l’olio è associato anche alla luce, e in particolare alla luce del primo giorno, che si distingue da quella del sole e della luna, e che è la luce tenuta nascosta per il giorno del Messia. “Il Dio che ha detto: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse anche nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo” (2Cor 4,6). E sulle antiche lampade bizantine si leggeva questa scritta: “La luce di Cristo illumina tutti”.

Alberto Mello


L'olio è anche frutto del nostro lavoro, lo produciamo nelle fraternità di Ostuni, Assisi e Civitella san Paolo

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