La comunità trampolino verso l’umanità

Abbiamo molto da imparare dall’africano e dall’indiano. Essi ci ricordano che l’essenziale della comunità è un senso di appartenenza. Certo, capita che il senso della propria comunità impedisca loro di considerare con amore e obiettività gli altri gruppi; allora è la guerra fra tribù e religioni. A volte anche la vita comunitaria africana si basa sulla paura. Il gruppo, la tribù, danno vita ad un sentimento di solidarietà, proteggono e danno sicurezza, ma non sono sempre liberanti. Se ci si stacca da loro, si è soli con le proprie paure e le proprie ferite, di fronte alle forze avverse, agli spiriti malvagi e alla morte. Queste paure si concretizzano in riti o feticci che hanno un potere di coesione. La vera comunità, invece, è liberante.
Mi piace quel passo della Scrittura dove Dio afferma: “‘Tu sei il mio popolo’ e lui mi dirà: ‘Mio Dio’” (Os 2,25) ... Il mio popolo è la mia comunità, la piccola comunità di coloro che si ritrovano insieme ma anche la comunità più grande che è attorno. Mio popolo sono tutti quelli il cui nome mi porto scritto dentro di me. Io li porto e loro mi portano e quando ci si ritrova, ci si riconosce.


 Siamo fatti gli uni per gli altri, fatti della medesima terra, membri di uno stesso corpo. L’espressione “mio popolo” non significa che io sono in uno stato di superiorità nei loro confronti, che io devo dare e gli altri ricevere. Significa che loro appartengono a me come io appartengo a loro. Siamo tutti solidali. Quello che li tocca, tocca a me. L’espressione “mio popolo” non implica che ci siano altri che io rifiuto. No il mio popolo è la mia comunità, costituita da quelli che mi conoscono e che mi portano. Può essere e deve essere un trampolino verso l’intera umanità. Non posso essere fratello “universale” se prima non amo il “mio popolo” (Jean Vanier, La comunità: luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 2000, pp. 34-37).