Il pericolo delle antipatie e delle simpatie

I due grandi pericoli di una comunità sono gli “amici” e i “nemici”. Ben presto la gente che si assomiglia si mette insieme; fa molto piacere stare accanto a qualcuno che ci piace, che ha le nostre stesse idee, lo stesso modo di concepire la vita, lo stesso tipo di umorismo. Ci si nutre l’uno dell’altro; ci si lusinga: “Sei grande!”, “Che forte!”. Le amicizie umane possono cadere rapidamente in un club di mediocri, in cui ci si chiude gli uni sugli altri; ci si lusinga reciprocamente e si fa credere di essere di essere i migliori. Questo impedisce di vedere la propria povertà interiore e le proprie ferite. Allora l’amicizia non è più un incoraggiamento a crescere, ad andare oltre, a servire meglio i nostri fratelli e le nostre sorelle, ad essere più fedeli al dono che ci è stato dato, più attenti allo Spirito, e a continuare a camminare attraverso il deserto verso la terra promessa della liberazione. L’amicizia diventa soffocante e costituisce un ostacolo che impedisce di andare verso gli altri, attenti ai loro bisogni. Alla lunga, certe amicizie si trasformano in una dipendenza affettiva che è una forma di schiavitù.


In una comunità, in un gruppo, ci sono anche delle “antipatie”. Ci sono sempre delle persone con le quali non mi intendo, che mi bloccano, che mi contraddicono e soffocano lo slancio della mia vita e della mia libertà. La loro presenza sembra minacciare e risvegliare la mia povertà, le mie colpe e le mie ferite, sembra minacciarmi e provoca in me aggressività o una forma di regressione servile. In loro presenza sono incapace di esprimermi e di vivere in pace. Altri fanno nascere in me sentimenti di invidia e di gelosia: sono tutto quello che vorrei essere e la loro presenza mi ricorda che io non lo sono. La loro radiosità e la loro intelligenza mi rimandano ai limiti della mia intelligenza. Altri mi chiedono troppo. Non posso rispondere alla loro richiesta affettiva incessante. Sono obbligato a respingerli. Queste persone sono miei “nemici”; mi mettono in pericolo e, anche se non oso ammetterlo, le odio. Certo, quest’odio è solo psicologico, non è ancora morale, cioè voluto. Ma lo stesso avrei preferito che queste persone non esistessero! La loro scomparsa mi apparirebbe come una liberazione.


È naturale che in un gruppo, in una comunità, ci siano vicinanze di sensibilità e blocchi tra sensibilità diverse. Queste cose hanno diverse motivazioni, spesso non abbiamo su di esse nessun controllo.
Se ci lasciamo guidare dalle nostre emozioni, si costituiranno dei gruppuscoli chiusi all’interno della comunità più vasta. Allora non sarà più una comunità, un luogo di comunione, ma dei gruppi di persone più o meno chiuse su di sé e bloccate nei confronti degli altri. Quando si incontrano certi gruppi, o si entra in certe comunità si percepiscono subito queste tensioni e queste guerre sotterranee.. Le persone non si guardano in faccia. Quando si incontrano nei corridoi, sono come navi nella notte. Una comunità è tale quando la maggioranza dei suoi membri ha deciso coscientemente di spezzare queste barriere e di uscire dal bozzolo delle “amicizie” per tendere la mano ai “nemici”. Ma questo è un lungo cammino. Una comunità non si fa in un giorno. In realtà non è mai fatta! È sempre sia in progresso verso un amore più grande, sia in regresso, a seconda che le persone accettino o rifiutino di scendere nel tunnel della sofferenza per rinascere nello Spirito.


Finché non accetto di essere un miscuglio di luce e di tenebre, di qualità e di difetti, di amore e di odio, di altruismo e di egocentrismo, di immaturità e di maturità, io continuo a dividere il mondo in “nemici” e “amici”, in “buoni” e “cattivi”; continuo ad erigere barriere dentro di me e fuori di me, a diffondere pregiudizi. Ma se ammetto di avere debolezze e difetti, di aver peccato contro Dio e contro i miei fratelli e sorelle ma che sono perdonato e posso progredire verso la libertà interiore e un amore più vero, allora posso accettare i difetti e le debolezze degli altri. Anche loro sono perdonati da Dio e possono progredire verso la libertà e l’amore; posso iniziare a vedere in loro la ferita che genera la paura, ma anche il dono che posso amare e ammirare. Siamo tutte persone mortali e fragili ma siamo tutti unici e preziosi. C’è una speranza; tutti possiamo progredire verso una libertà più grande. Impariamo a perdonare (Jean Vanier, La comunità: luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 2000, pp. 50-53).