L’evangelo è dissacrante

Secolarizzazione significa che l’uomo può fare a meno dell’ipotesi Dio per comprendere il mondo, organizzarlo e trasformarlo. Significa inoltre che ormai il campo della religione si restringe e la religione viene confinata nel privato. Oggi l’appartenenza religiosa non è più un fattore d’integrazione sociale (cinquant’anni fa la persona che non si vedeva mai in chiesa veniva segnata a dito). Oggi aderire a una fede, a un sistema di credenze, è una libera opzione. È evidente, ne guadagna la qualità della fede, ma al tempo stesso diminuiscono inevitabilmente il numero dei fedeli; ed è evidente anche - sebbene in questo campo non si debba mai lasciarsi impressionare dal numero - che ne risulta indebolito il vigore apostolico della fede. Infine, secolarizzazione significa che ormai anche una società pluriconfessionale è possibile. Non senza resistenze, d’altronde. Si pensi al fatto che si è dovuto attendere il concilio Vaticano II perché venisse affermato pubblicamente e solennemente il valore assoluto della coscienza in materia di libertà religiosa. Di fatto nella società dove oggi il cristiano vive circola tutto un miscuglio di credenze con cui egli non può evitare di scontrarsi o di subirne il fascino. È necessario al credente aprirsi una strada senza rinchiudersi sulla propria fede tenendosi sulle difensive, ma anche senza ricercare una pseudo-comunione nell’annullamento delle differenze. I rischi e le opportunità di questo movimento di secolarizzazione sono stati esposti molto bene da Henri de Lubac: “Diventando sempre più profane, le nostre civiltà ci espongono al rischio di perdere Dio.


forse questo permetterà di ritrovarlo a una maggiore profondità, e tale riscoperta potrà preparare nuove sintesi, senza che si debba mai ritornare alle indifferenziazioni primitive”. “Ritrovare Dio a una maggiore profondità” si può interpretare anche come: non confondere Dio con quello che lui non è, relativizzare tutto quello che non è lui, comprese tutte le forme istituzionali nelle quali vive la fede. Karl Rahner, a sua volta, fa un bilancio ottimistico di questa evoluzione e ravvisa anche l’uscita da una confusione possibile: “Solo ora cominciano le vere opportunità per il cristianesimo. È stato necessario attendere la nostra epoca perché cadesse il velo degli enigmi che ricopriva il mondo, e perché l’uomo lo vedesse così com’è. Impossibile, ormai, confonderlo con Dio”. Non confondere fede e religione: è proprio quello che ha fatto fin dagli inizi il cristianesimo, svelando che gli dèi dominanti erano idoli. In questo senso, certamente l’Evangelo è dissacrante. Si pensi al dialogo di Gesù con la samaritana, a proposito dei luoghi di culto. Per quanto riguarda il tempio, Gesù ha già parlato della sua distruzione e questo gli sarà rimproverato durante il processo. In questo dialogo cosa annuncia? La fine della religione del tempio. “I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte – gli dice la donna – e voi giudei invece dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare” (Giovanni 4,20). Gesù pone fine a quella rivalità da campanile. Rispondere che la religione è in spirito e verità equivale a dire chiaramente che la fede non si vive in alcun luogo, in alcun tempio particolare, ma “sempre e ovunque”.


Dire “Né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre” (Giovanni 4,21), è dire che la fede dà una libertà assoluta nei confronti di tutte le sfere dell’esistenza, ivi compresa la sfera religiosa. Ovunque e sempre noi possiamo adorare Dio in spirito, vivere da uomini “spirituali”, cioè dello Spirito di cui ha vissuto Gesù. Allora è la fine della religione? No di certo, perché lo spirito non va mai senza un corpo. È ancora necessario un linguaggio religioso? Sì, ma ricercando sempre il senso al di là delle parole. Dei gesti religiosi?. Sì, a condizione di non affidare il senso delle nostre vite a gesti formali. C’è ancora bisogno di luoghi e tempi religiosi, di una comunità? Sì, ma a condizione che ogni comunità accetti di aprirsi e di espandersi nel senso di una solidarietà universale (J.-P. Mensior,  {link_prodotto:id=365}, Qiqajon, Bose 2001, pp. 160-164).