Il perdono di Dio mi svela il segreto dell’altro

È perché Dio mi perdona, mi riconduce a lui, mi permette di esistere, libero, nella sua grazia, è perché sono invaso dalla gratitudine, che estraggo gli altri dalle sabbie mobili del mio egocentrismo e permetto anche a loro di esistere nella libertà della grazia. Noi continuiamo ad attenderci qualche cosa dagli altri. Ci devono il loro amore, la loro attenzione, la loro ammirazione. Non è l’altro che mi interessa, bensì la gratificazione che mi procura. La stoffa di cui sono fatto è vanità, suscettibilità. E siccome gli altri mi deludono costantemente, perché non possono rimborsarmi i loro debiti, allora li perseguito con il mio rancore, nutro verso loro oscure passioni mortifere, mi perdo in una foresta di inestricabili vendette. Oppure, dall’alto della mia dignità offesa, mi ritiro per mio conto, mi avvolgo di indifferenza altezzosa e mi pago da solo i debiti degli altri, con moneta falsa. Psicologicamente, in questo mondo contrassegnato dalla morte, non esiste via d’uscita. Ma se ci rediamo conto che questo mondo è una tomba vuota riempita da una luce venuta da altrove, se percepiamo che Dio in Cristo ci rimette il nostro debito fondamentale, la morte, quella fisica e soprattutto quella spirituale, allora non abbiamo più bisogno né di schiavi né di nemici: né di schiavi che ci facciano credere che siamo dèi, né di nemici sui quali proiettare la nostra angoscia segreta. Ci rendiamo conto che gli altri non ci devono nulla. Gli altri non mi appartengono. Ognuno di loro, come Dio di cui è immagine, è un soggetto libero, inaccessibile. Posso appropriarmene solo privandolo della sua libertà, cioè negandolo, al limite uccidendolo. E ci sono tanti modi di uccidere! Ma, come il Dio inaccessibile si rivela a me nella sua grazia, così anche l’altro inaccessibile, può rivelarsi a me, ed è anche questa una grazia. Gli uomini – è vero – hanno tra loro rapporti normati dalla legge, che li strappa agli impulsi mortiferi e regola esteriormente i loro rapporti, proteggendoli dall’arbitrio. Ma al di là c’è solo il perdono, l’accoglienza e, a volte, lo stupore. Il santo è “il povero che ama i fratelli”. Povero perché riceve incessantemente se stesso dalle mani di Dio. Capace di conseguenza di essere il prossimo di tutti (O. Clement, “Il Padre nostro”, in O. Clément, B. Standaert, Pregare il Padre nostro, Qiqajon, Bose 1988, pp. 111-112).