Per Gesù non c’è posto

Immaginate un uomo che abbia come sua unica legge l’amore per gli altri, un amore disposto fino al totale dono di sé. Fate camminare quest’uomo dove volete: in un mercato, in una banca, in un parlamento, in un ministero, in una curia ecclesiastica… Fatelo parlare, mettetelo a confronto con le figure che rappresentano le istituzioni che vi ho elencato. Che cosa avverrebbe? Avverrebbe che quest’uomo sarebbe, con una solidarietà immancabile, espulso da tutti, cacciato via. Uno direbbe, magari un suo amico: “Io quest’uomo non lo conosco nemmeno”. Un altro direbbe: questo è pazzo”, un altro direbbe, magari in una curia ecclesiastica: “Quest’uomo ha bestemmiato”. Quest’uomo non potrebbe rientrare nei modi di comprendere la vita che sono i nostri. Sarebbe un estraneo e troverebbe un’accoglienza solo tra i più disperati, che non essendo integrati nella società hanno una sincera disponibilità al nuovo. Forse quest’uomo troverebbe il suo luogo proprio nelle periferie, nelle baraccopoli dove vive la gentaglia, perché là tutto è possibile, mancano le strutture di giudizio e c’è disponibilità ad accogliere ogni forma di esistenza purché sia irregolare rispetto a quella istituzionalizzata. Quest’uomo ipotetico è Gesù Cristo. Questa è stata la sua vita, sempre, perfino prima di nascere. I suoi non furono accolti in un albergo perché non c’era posto per loro. In realtà non c’era posto per lui. Ma perché non c’è posto? Non c’è posto perché il senso intimo di questa vita, la sua esemplarità che sorpassa ogni altro modello, è la coerenza con l’amore per gli altri fino al dono della propria vita. Dopo, è successo che al sua figura, consegnata alla memoria, è stata riadatatta al tessuto convenzionale, al codice dell’esistenza vigente. Quest’uomo che è stato l’amore stesso è anche l’uomo in nome del quale sono stati accesi i roghi, si sono sgozzati gli uomini… è diventato un idolo, un dio inzuppato nei nostri fanatismi ideologici. No, il Gesù vigente non è il Gesù della passione. Crediamo che ripetendo un nome ci rifacciamo alla realtà significata dal nome. E invece il nome di Gesù è un passepartout che serve per tutto, è servito per tutto e serve ancora oggi per tutto. Ecco perché le pagine del racconto della passione, morte e risurrezione nei vangeli o si leggono stendendoci sopra, come si fa spesso, un velo devozionale e si ascoltano con uno spirito devoto e con buoni sentimenti in modo che esse non ci scalfiscano la coscienza, oppure ci apriamo alla forza del loro messaggio e sentiamo che i conti con la verità non li abbiamo ancor fatti (E. Balducci, Il Vangelo della pace, Borla, Roma 1987, pp. 117-118).