Il valore dell’accoglienza

Un tema che investe la nostra convivenza civile è quello dell’immigrazione.
La domanda da porsi come base ad ogni considerazione di carattere morale o politico è semplice, essenziale: chi è l’immigrato clandestino? Se ad essa si risponde pregiudizialmente che l’immigrato è qualcuno da cui difendersi, un nemico contro cui combattere, allora ogni sopruso nei suoi confronti è legittimato. Se invece la risposta è che l’immigrato clandestino è un nostro fratello in umanità che ha bisogno di aiuto e lo chiede, e ha affrontato sradicamenti e sacrifici immani per tentare di realizzare un futuro più degno per sé e i suoi cari, allora il tipo di azione da  sviluppare nei suoi confronti cambia profondamente.
Dal punto di vista etico ed in base anche alla semplice conoscenza dei dati di cui le organizzazioni di accoglienza dispongono, non c’è dubbio che la sola risposta plausibile e corretta sia la seconda. Solo un popolo dalla memoria corta può dimenticare che molti figli della nostra terra, in un tempo tutt’altro che lontano, sono andati a cercare fortuna in paesi stranieri in condizioni non tanto diverse da quelle con cui si presentano a noi oggi la maggioranza dei clandestini. Perché ad essi fu riservata un’accoglienza per lo più di gran lunga diversa da quella dei giudizi persecutori? Gli immigrati sono l’immagine viva di quello che molti dei nostri antenati sono stati, di ciò che noi potremmo ancora essere in un mutamento di scenari storici: ecco perché ognuno dovrebbe riconoscere in chi bussa alle nostre porte per chiedere accoglienza ed aiuto un riflesso di sé, una parte della propria anima e della propria storia, una sfida del proprio futuro e del futuro collettivo dell’umanità.
Se a questo si aggiunge poi la percezione profonda – chiarissima davanti a Dio unico e Padre di tutti – di un’essenziale uguaglianza di ogni essere umano nella dignità e nei diritti personali, allora la semplice memoria storica si carica di un’urgenza etica non sopprimibile: il grado di civiltà di un popolo si misura anche dalla sua capacità di accoglienza e di rispetto del diverso; è proprio dei barbari respingere chi si presenta alla porta povero e indifeso, non chiedendo altro che un aiuto essenziale di cui ogni essere umano ha diritto.  

B. Forte, La bellezza di Dio, San Paolo, Milano 2006, 154-155.