Si viaggia alla ricerca di se stessi

Si decide il viaggio per cambiare se stessi, alla ricerca di una nuova identità, quanto meno, per conoscersi meglio, più a fondo, in un contesto più leggero, meno inibente. Si viaggia, in una parola, alla ricerca di se stessi, ma poi, giunti alla meta, si trova che la propria anima è cambiata … A un certo punto il dolore, la dissonanza fra individuo e società, fra famiglia e lavoro, non è più sopportabile. Decido: mi alzo; esco; parto, partiamo … Si parte, anche senza saperlo, per trovare qualche cosa che si è perduto, un bene andato smarrito, ma non si trova la cosa desiderata, il valore sognato. Se ne trova un altro. Ma non si sa ancora che cosa sia, che cosa comporti. Di fatto, si parte alla ricerca della propria identità smarrita o debole o confusa, ma nel corso del viaggio l’identità che si va cercando cambia, inevitabilmente, si fanno nuovi incontri, e alla fine del viaggio ci si ritrova con una nuova, inedita, inaspettata identità. Uno parte alla ricerca di se stesso e finisce per ritrovare un altro che non gli somiglia, un sé sconosciuto, un intruso. Talvolta, basta un incontro in treno, un caffè preso insieme per caso, un amorazzo apparentemente insignificante, e la vita è cambiata. Il viaggio decongela l’identità, la rende mobile, itinerante, problematica. In questo senso, il viaggio … ha un effetto di deritualizzazione dell’esperienza personale, che può, al limite, intaccare i modi consueti dell’esperienza psichica e religiosa, provocarne un riorientamento profondo (Franco Ferrarotti, Partire, tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio, Donzelli, Roma 1999).