Viaggio e alterità

L’odissea di Ulisse rappresenta in un certo modo il viaggio circolare, espressione di un mondo chiuso, finito. Qui il viaggio è sempre un partire da casa e un tornare a casa, e il vissuto del viaggio si esprime anche nel sentimento della lontananza dalle proprie radici. Il viaggio è qui diverso dal vagabondaggio, perché non è un andare senza meta. Il rientrare presso se stessi è altrettanto importante quanto il partire, partire che si concepisce sempre come momentaneo e provvisorio. Il viaggio di Abramo si presenta in un modo ben diverso: la casa non è più casa, il partire vale più del tornare, il mondo è aperto, nuovo e non conosciuto. All’immagine della casa si sostituisce quella della tenda (il nomade), perché il futuro del camino è più importante del passato. Il punto di partenza è più chiaro del punto d’arrivo, che non si conosce, l’apertura più importante della conclusione del viaggio. Con Abramo l’altro chiama e continua a chiamare, impedendo il ritorno alla primitiva e sedentaria identità d’origine, e suggerendo l’idea che nello stesso viaggiare, nello stesso star fuori, vi sia l’esperienza più autentica dell’identità. Nel viaggio l’identità si trova fuori di sé, estraniata rispetto a se stessa, e nonostante ciò rimane, altrettanto straordinariamente, presso di sé grazie all’esercizio brusco e ripetuto dell’alterità che avvolge. Senza ritorno alla propria casa, il momento iniziale del viaggio si carica di un forte significato simbolico. Nel viaggio di Ulisse erano la lontananza e il rammarico ad avere il sopravvento. Qui l’accento cade sul partire, sull’uscire, sul cominciare il viaggio. Il momento iniziale del viaggio diventa metafora di ogni rottura con l’identità ripiegata su se stessa, di ogni annuncio di una interruzione, di una diversità a cui si va incontro. E questo in un senso non solo individuale, bensì collettivo, storico e politico. Anche per rovesciare le situazioni di ingiustizia si utilizza la metafora politica desunta dal viaggio: l’“uscire” dal paese dell’oppressione, affrontare il deserto e i suoi pericoli come destino di u popolo che voglia diventare libero. Lasciare e uscire diventano così sinonimi della ricerca di ogni nuova identità, se non dell’identità stessa (F. Riva, Filosofia del viaggio, Città Aperta, Troina 2005, pp. 16-17).