«Getto la rete e salvo i pesci d’oro»
27 febbraio 2023
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 4,17-25 (Lezionario di Bose)
In quel tempo17 Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».18Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 19E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». 20Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. 21Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. 22Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. 23Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. 24La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. 25Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.
«Venite dietro a me»: è l’invito di ogni chiamata, la promessa di una compagnia, l’indicazione di un senso, di una direzione per il cammino.
In questo brano evangelico c’è un particolare che ritorna tre volte, un dettaglio che ci riporta alla vita quotidiana e al mestiere di quel gruppetto di pescatori fra i quali Gesù sceglie i suoi discepoli: le reti.
«Gettavano le reti in mare» (Mt 4,18): l’imperfetto del verbo suggerisce un’azione continuata, reiterata, quotidiana. È il gesto fondamentale della pesca: ripetuto, ripetitivo, forse alla lunga noioso; un’azione faticosa, soprattutto con i limiti tecnici di duemila anni fa.
Gettare le reti: è il loro mestiere. Sono pescatori che rinnovano quel gesto ogni giorno, ogni notte, tra fatica e successo, tra delusione e riuscita, tra speranza e attesa. È il mestiere di vivere, fatto spesso di ripetitività, nella litania dei giorni, degli orari, delle azioni, forse anche del grigiore. Eppure noi possiamo redimere il tempo (cf. Ef 5,16), cioè fare buon uso anche della ripetitività dell’esistenza, se scopriamo in essa il potenziale della ripetibilità.
Poi sulla riva del lago c’erano anche Giacomo e Giovanni, due fratelli, che nella barca, insieme al loro padre, riparavano le loro reti.
L’immagine delle reti da riparare ci riporta di nuovo alla pazienza quotidiana della mano, ad un lavoro umile, quasi invisibile: vivere la vita, nella ferialità dei giorni, significa anche imparare l’arte del restauro, in molte situazioni esistenziali. Non si tratta solo della cura materiale per gli oggetti, ma di cura delle relazioni, delle persone, delle ferite e degli strappi del tessuto delle nostre vite e delle vite degli altri: non di rado anche le nostre giornate possono diventare luoghi di ordinari conflitti, che richiedono un continuo sforzo di superamento, di rammendo e di ricominciamento, in un’opera mai finita. «Tutto del mondo è sempre da rammagliare», scriveva Yves Bonnefoy, con la pazienza dei pescatori che ricuciono gli squarci delle loro reti o delle nonne curve a raggiustare un indumento, raccogliendo o rifacendo le maglie allentate.
Pescare a rete significa, poi, raccogliere di tutto un po’! Pesci buoni e pesci cattivi, commestibili e no, commerciabili e scarti. Ne sappiamo qualcosa noi che viviamo nell’era del net(work): internet ci dice proprio che siamo all’interno di questa rete. In questo modo oggi siamo tutti pescatori, per così dire… E nel contempo – forse anche senza accorgercene – siamo anche dei pesci che vengono pescati in questa stessa rete!
Ora, le reti dei vangeli ci raccontano scene di comunione: sono reti che coinvolgono più persone nel lavoro, in un’azione corale, in una solidarietà nella fatica del lavoro e nella gioia della riuscita.
Noi oggi abbiamo però a che fare con altre reti, immateriali, quasi impalpabili, che crediamo di padroneggiare, eppure quasi inavvertitamente – mentre noi crediamo di agire – veniamo agiti dall’incanto di un mondo virtuale.
Le reti dei Vangeli, poi, sono reti che uniscono le generazioni, che creano legami, come le reti che i due figli riassettano seduti accanto al loro padre; sono reti che creano comunità, relazioni interpersonali, amicizie. Per contro, nelle nostre reti digitali tutto sembra basarsi «sul dito che conta: la storia, invece, è un racconto: oggi tutto viene trasformato in qualcosa di contabile, per poter essere tradotto nel linguaggio della prestazione e dell’efficienza» (Byung-chul Han).
Le reti dei pescatori dei Vangeli sono reti che passano di mano in mano, che ci raccontano la concretezza, il tatto, il contatto, la resistenza della materia, il guizzare lucente dei pesci. Le nostre reti digitali, invece, ci promettono «una liberazione dal peso della materia: l’uomo del futuro non avrà più bisogno delle mani. Non dovrà più maneggiare e lavorare nulla, perché non avrà più a che fare con cose materiali ma solo con informazioni immateriali. Al posto delle mani subentrano le dita: invece di agire, l’uomo nuovo gioca con le dita» (Byung-chul Han).
Il Vangelo, invece, ci racconta che lo stra-ordinario si fa evento nel quotidiano dei nostri giorni, nella ferialità delle nostre agende, nel concreto delle nostre attività. A volte, fra le opere e i giorni della nostra vita – più o meno grigi, ripetitivi o noiosi, solari o faticosi – veniamo raggiunti da una novità, che ha un nome, un volto, una voce… È l’incontro: mistero e grazia dell’incontro, di ogni incontro, di ogni amore, con i doni che porta con sé, ma anche con le fatiche, le rinunce, i cambiamenti che richiede e implica…
«Getto la rete dei miei occhi sulle acque del mondo distrutto, poi la riporto a me e salvo i pesci d’oro» (Christian Bobin).
Un fratello di Bose