Che cosa fa vivere gli uomini?
8 marzo 2023
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 6,24-34 (Lezionario di Bose)
In quel tempo Gesù disse alle folle :
25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.
“Nessuno può servire due padroni… Non potete servire Dio e Mammona!”, ci dice il Signore all’inizio di questo vangelo. E “servire Dio” per la Bibbia, fin dal libro dell’Esodo, significa essere liberati da qualunque asservimento a un altro “signore”, da qualunque idolo, che è tale perché tende a imporsi come ragione ultima della nostra vita attirando la nostra fiducia.
È dunque per il suo bene che Dio ricorda sempre a Israele e a ogni credente: “Io sono il Signore tuo Dio che ti ho fatto uscire dalla terra di Egitto, dalla casa di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me” (Es 20,2-3). E una volta usciti – e non si finisce mai di uscire! – “servirete Dio su questo monte”, dice ancora il Signore (Es 3,12). Esodo dalla schiavitù e servizio di Dio sono inscindibili.
Proponendoci il “servizio di Dio” anche qui Gesù ci indica una via di libertà. Svela l’inganno che sta alla base di ogni ricchezza accumulata per sé e la presenta senza mezzi termini come una potenza idolatrica (“Mammona”,dalla radice ebraica ‘aman, da cui viene anche il termine che indica la fede-fiducia, ‘emunah), una potenza che seduce il cuore di chi la possiede distogliendolo dall’Unico in cui dovrebbe riporre la sua fede, promettendogli quel che in realtà non può mantenere. Perché la ricchezza, per quanto grande sia, non potrà mai dare la vita.
Rinunciare volontariamente ai beni, al loro accumulo, spogliarsene condividendoli con altri significa dal punto di vista evangelico affermare la logica del Regno, che è appunto quella della condivisione e dell’amore fraterno, e ancor prima significa confessare che ciò che ci dà vita non dipende da noi, ma è per noi: ci è offerto come dono.
Per quanto possiamo affannarci a prevedere, calcolare, metter da parte, non è questo che può garantirci l’esistenza, che rimane fragile, esposta ai rischi come canna sbattuta dai venti… “Perché vi affannate?”, chiede il vangelo. Non si tratta certo di abbandonarsi al fatalismo o a un ingenuo provvidenzialismo del tipo: “Non cade foglia che Dio non voglia”. Sappiamo bene che in questa forma il concetto di “provvidenza” è ambiguo, e non fa giustizia al vangelo. Sarebbe quindi sciocco cercare di vedere negli “uccelli del cielo” o nei “gigli del campo” descritti da Gesù un ideale di vita praticabile e da imitare. Si tratta piuttosto di valutare con onestà se, al di là dei legittimi sforzi per costruire e dare continuità alla nostra vita (per noi e per gli altri), facciamo tutto questo conservando la misura delle proporzioni, evitando che l’impegno diventi affanno, preoccupazione.
Mentre i “pagani” si preoccupano dei beni materiali che garantiscano la loro vita, ma così finiscono per “perdere” tutta la vita in tali preoccupazioni (cf. Mt 10,39; 16,25), i discepoli sono invitati a cercare il regno e la giustizia del loro Padre celeste, confidando che lui sappia bene “ciò di cui hanno bisogno” e che darà loro tutte queste cose “in aggiunta”.
“Cercare” in questo contesto può avere almeno due significati: da una parte significa “chiedere per ottenere” e in questo senso rimanda all’ambito della preghiera (cf. Mt 7,7); dall’altra, nella misura in cui è qui associato alla “giustizia di Dio” (ovvero la sua volontà: cf. Mt 5,20), indica anche un impegno di ricerca attiva da parte dell’uomo per realizzare le esigenze di questo regno. È la “fame e la sete della giustizia” (Mt 5,6) di cui parlano le beatitudini.
In conclusione, cercare (e poi accogliere) il regno di Dio e la sua giustizia lottando contro le preoccupazioni mondane vuol dire far regnare Dio, e nessun altro, nel nostro cuore e nella nostra vita. Concretamente questo si traduce nel cercare di vivere sempre e prima di tutto l’amore di Dio e dei fratelli, per arrivare a scoprire e a riscoprire nelle trame della nostra vita quotidiana che è proprio in virtù di questo amore soltanto che noi siamo vivi. Ne siamo coscienti o no, è questo “che fa vivere gli uomini” (Lev Tolstoj).
fratel Luigi