La vera grandezza
17 marzo 2023
Dal Vangelo secondo Marco - Mc 9,30-37 (Lezionario di Bose)
In quel tempo Gesù e i suoi discepoli 30partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. 33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
In cammino attraverso la Galilea, per la seconda volta Gesù preannuncia ai discepoli la sua passione, morte e resurrezione. Sappiamo che nei vangeli sinottici tale annuncio viene ripetuto tre volte. Sono parole importanti che mostrano l’orizzonte della vita cristiana; esse devono essere riprese costantemente perché indicano il senso e la direzione del nostro cammino, affinché possiamo adattare il passo e l’orientamento al cammino di Gesù. Ascoltiamole ancora una volta: non si tratta di seguire un personaggio grandioso, ma un condannato a morte, un umiliato, un rigettato; letteralmente, un “consegnato” (paraditotai): tutta la sua esistenza è stata vissuta all’insegna di un lasciarsi consegnare, di un donarsi.
I discepoli però non capiscono “la parola”, ne sono quasi paralizzati e non osano interrogare Gesù. Anestetizzano la loro incomprensione pensando ad altro. Gesù se ne accorge e una volta a casa li interpella. I discepoli restano in silenzio; non sanno esprimere il motivo reale del loro confronto acceso e così imbarazzante: lungo la via avevano discusso su chi tra loro fosse il più grande. La volontà di emergere sugli altri, sullo sfondo della quale possiamo intravedere il bisogno di riconoscimento, di sentirsi valorizzati, è un sentimento che si fa strada anche in noi, e in modo sottile pure in contesti comunitari, ma preferiamo non ammetterlo perché ce ne vergogniamo.
Allora Gesù prende tutto il tempo che occorre: non c’è fretta, per questo si siede, assumendo la posizione del maestro, e chiama attorno a lui gli apostoli e li istruisce sulla vera grandezza nel regno di Dio. Nelle sue parole si precisa l’identità del discepolo: “Chi vuole essere il primo, sia l’ultimo e il servitore di tutti”: questa è la via tracciata da Gesù testimoniata dalla sua vita, non certo quella dell’affermazione di sé e della ricerca di visibilità.
Per far comprendere questo ai discepoli, prende un bambino, simbolo di chi è piccolo e debole, e lo mette al centro, al cuore della comunità. Con questo gesto Gesù spezza la circolarità dei pensieri in cui si erano chiusi i discepoli che lungo la via avevano discusso “tra loro”, distogliendone lo sguardo da sé stessi per farlo volgere verso il fanciullo. A quell’epoca i bambini non godevano di alcuna considerazione sociale; essi sono nella condizione di chi deve dipendere dagli altri e per servirli occorre chinarsi, abbassarsi, rapportarsi alla loro misura. Come ha fatto Gesù quando, deposte le vesti, si è chinato sui discepoli e ne ha lavato i piedi compiendo il gesto dello schiavo.
“Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie ma, accoglie colui che mi ha mandato” (Mc 9,37). La presenza di Dio nel mondo è legata a questo rovesciamento di prospettiva in cui Gesù ci invita a entrare. Non è solo questione di accogliere chi è piccolo, ma di farsi piccolo e mettersi a servire. Servire la vita del fratello, della sorella nelle circostanze che la giornata ci offre.
fratel Salvatore