Una mano carezzevole
4 aprile 2023
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 26,1-16 (Lezionario di Bose)
In quel tempo 1Gesù disse ai suoi discepoli: 2«Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso».
3Allora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, 4e tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire. 5Dicevano però: «Non durante la festa, perché non avvenga una rivolta fra il popolo».
6Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, 7gli si avvicinò una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre egli stava a tavola. 8I discepoli, vedendo ciò, si sdegnarono e dissero: «Perché questo spreco? 9Si poteva venderlo per molto denaro e darlo ai poveri!». 10Ma Gesù se ne accorse e disse loro: «Perché infastidite questa donna? Ella ha compiuto un'azione buona verso di me. 11I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me. 12Versando questo profumo sul mio corpo, lei lo ha fatto in vista della mia sepoltura. 13In verità io vi dico: dovunque sarà annunciato questo Vangelo, nel mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche ciò che ella ha fatto».14Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti 15e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. 16Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo.
Betania, un villaggio il cui nome significa forse “casa dei poveri”. Una casa, quella di Simone. Dunque, una casa in una casa: scena d’interni.
“La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa” (Sal 128,3).
Ma questa scena non corrisponde esattamente al quadro tratteggiato dal salmista. È piuttosto una tela, un dipinto traversato da uno squarcio: da una parte una sala accarezzata dalla luce, i gesti di una donna, avvolti nel silenzio, un vaso, il fluire dell’unzione, il diffondersi avvolgente del profumo, l’«azione buona». Dall’altra, uno spazio d’ombra, di cuori notturni, di parole maldestre, giudicanti: il mormorare dello spreco, il sospetto del gratuito, la quantificazione economica, lo svilimento del simbolo, la compravendita di una vita, l’attesa di un’«occasione propizia» per portare a termine un lavoro sporco.
Una donna, l’unica sulla scena, quasi visionaria, profetica, da una parte; dei maschi sdegnosamente miopi, superficiali, accecati dalla notturnità delle loro parole, dall’altra.
Gesù, detto il Cristo, cioè l’“Unto”, nella vigilia della sua morte, riceve sul capo un’unzione per mano di una donna: non è una solenne liturgia officiata al tempio, non è un rito della religione che si esprime nel culto pubblico, ma è un gesto carico di senso, di sguardo, di tatto, di profezia, nell’intimo di una casa, al di là delle convenzioni sociali che non contemplavano una tale prossimità fra un uomo e un’estranea.
“In vista della sepoltura”, sta scritto. L’amore di una donna vede già quello che gli altri non vedono: vede il profilarsi della morte, della fine, della sconfitta umana; vede l’ombra della croce, il buio della tomba; vede prima, e vede oltre: vede che Gesù, «l’uomo della compassione», in quel momento è anch’egli «bisognoso di compassione»; forse vede anche un amore che ha il coraggio di sfidare le nostre morti. «L’amore l’aveva fatta guardare dentro quel cuore, e più lontano, un anticipo sulla sepoltura. In vigilia di morte ci fu una donna a intuire e a ungere Gesù come il Messia, Messia è parola che dice l’Unto. Non apparteneva alla classe sacerdotale e poi era donna. Lo fece lei. Con i suoi occhi colmi di tenerezza. Gli altri nella casa rimasero fuori, fuori dal segreto, incapaci di intuire, di profumare» (A. Casati).
E quella giustapposizione fra buio e luce, fra la volgarità dei maschi e la bellezza del gesto della donna, si fa opposizione polare di due domande: “Perché questo spreco?”, dicono gli uni; “Perché infastidite questa donna?”, chiede Gesù, come se volesse dire: «Voi avete l’arte, la brutta arte, quella di fermare, di congelare l’amore, di mettere misura all’immisurabile, all’amore. Ma che cosa mai potrete capire della Pasqua? Che cosa potrete capire di uno che farà spreco del suo amore, se non avete occhi per capire lo spreco di profumo, di una donna?» (A. Casati).
Il puro spreco, il massimo del gratuito, il profumo che inonda un ambiente, l’impalpabile della grazia sono l’unico antidoto, divino-umano, al non-senso, alla riduzione mercantile dei rapporti di forza, all’odore della morte. L’amore si fa gesto, carezza sul viso, silenzio di una tenerezza che, senza bisogno di parole, ha capito tutto, ha letto le ultime pagine del libro di una vita, ne ha presentito la catastrofe e ne ha intraveduto il superamento pasquale.
Quell’unzione d’amore diventa vicinanza e compagnia che sfida la solitudine dell’umano ogni volta che questi si trova sull’orlo di una sua morte. Nella memoria di quel profumo, ciascuno possa avvertire – nell’ora dell’abbandono – la presenza di una mano carezzevole, per entrare nell’amore.
Un fratello di Bose