“Poi tutto diventa leggero”

Foto di Pop & Zebra su Unsplash
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17 aprile 2023

Dal Vangelo secondo Luca - Lc 21,9-19 (Lezionario di Bose)

In quel tempo Gesù disse:" 9Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine".
10Poi diceva loro: "Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
12Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.


“Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate” (Lc 6,22). La beatitudine nella prova, nell’ostilità, nella persecuzione: una beatitudine paradossale, come è paradossale tutto il vangelo di Cristo. Folle? Sì, folle, se non fosse accompagnata da una promessa: “Chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9,24), ovvero la riavrà piena, vera, davvero viva. La beatitudine del perdersi per trovarsi nella Fonte della vita, del consegnare sé stessi a colui che “fa morire e fa vivere” (1Sam 2,6).

Di questa paradossale beatitudine parlano i versetti della pagina evangelica di oggi, con un linguaggio altrettanto sconvolgente, e con uno stile proprio di un genere letterario – quello apocalittico – lontano dalla nostra sensibilità. Ma il cuore del messaggio è lo stesso: l’invito a guardare in faccia il momento della prova e della crisi, affidandosi. Ovvero credendo che un Altro è colui che, in quei terribili momenti, vive in noi. La domanda è per questo decisiva: “Cristo vive in noi?”. Solo questo importa, solo questa vita del Signore in noi ci fa vivi o morti. Questo è vero sempre, ma è ancor più vero quando fuori di noi (e a volte proprio contro di noi) vi è morte: “C’è la Vita in noi?”. 

A questa verifica ci stimola la pagina del vangelo di oggi, a questa lettura di noi stessi ci urge la parola di Gesù. Non per spaventarci – “Non vi terrorizzate" (v. 9) – ma per farci ritrovare la ragione ultima della nostra pace: la perseveranza, il radicamento tenace nella comunione con Cristo, nell’adesione al nome che portiamo (cf. v. 19). In questo senso, la persecuzione è il momento più crudo ma reale della verità della nostra vita di fede: “Vivete a causa del mio nome?” (cf. vv. 12.18). Se è così, questo momento sarà allora la trasparenza della nostra fede, in cui le nostre parole saranno parole tanto trasparenti da essere “parola e sapienza” divine, parole immortali testimoniate con il dono della vita. Solo così la vita di un uomo può dirsi “salva”, ovvero quando testimonia di essere “eterna” nel dono di sé stessa.

Contro ogni tentazione di una vita di fede esente da prove e contraddizioni, questa pagina ci ricorda che “perseveranza” è un termine cardine della spiritualità cristiana. Ai cristiani di Roma Paolo scrive accostando tribolazioni, perseveranza e speranza: “Ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce perseveranza, la perseveranza una virtù messa alla prova, e la virtù messa alla prova la speranza (Rm 5,3-4). Scrivendo ai cristiani di Colossi, l’Apostolo li esorta a ricordare la fortezza acquisita grazie alla potenza di Dio, per poter giungere a essere perseveranti e ad avere un cuore largo in ogni situazione, e così vivere in uno spirito di ringraziamento: “Resi forti di ogni fortezza secondo la potenza della sua gloria, per essere perseveranti e magnanimi in tutto, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce (Col 1,11-12).

Solo questa perseveranza nella fede è ciò che rende liberi di fronte al male subito. È stata proprio questa decisa e cristallina perseveranza a portare Dietrich Bonhoeffer, pastore e teologo evangelico di cui oggi facciamo memoria, condannato a morte nel 1945 per la sua resistenza contro il regime nazista, a scrivere in una delle sue lettere dal carcere: “Nella fede (spero) posso sopportare tutto, anche una condanna, anche le altre temute conseguenze (cf. Sal 18,30); ma una prudenza timorosa logora … Un tentennare da una parte all’altra privo di fede, il discutere senza fine e non agire, il non voler rischiare, questo è un vero pericolo. Io devo poter avere la certezza di essere nelle mani di Dio e non in quelle degli uomini. Poi tutto diventa leggero, anche le privazioni più dure. Per me ora non si tratta di una ‘comprensibile impazienza’, come forse si dirà, ma del fatto che tutto avvenga nella fede”. Nella fede perseverante, fino alla fine.

fratel Matteo


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