Uno specchio delle nostre contraddizioni

Foto di Nicola Fioravanti su Unsplash
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6 maggio 2023

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 7,40-53 (Lezionario di Bose)

In quel tempo 40alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». 41Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? 42Non dice la Scrittura: Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo?». 43E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui. 44Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui.
45Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». 46Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». 47Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? 48Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? 49Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». 50Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: 51«La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». 52Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». 53E ciascuno tornò a casa sua.


Il Quarto Vangelo è stato chiamato il Vangelo “spirituale” distinto dagli altri tre, quelli “corporali”. Si rischia così di interpretarlo come un testo mistico, disincarnato … una comunità che con al centro il Signore, l’amico esclusivo, si bea di vivere l’amore fraterno incurante del fuori… Eppure è il vangelo che con una raffinata spietatezza denuda i meccanismi che producono la violenza su cui il potere si regge, meccanismi di cui per giunta il testo stesso è vittima con la categoria di “giudei”, nella misura in cui essa produce un nemico de-umanizzato, privato di quella carne che ci affratella, e ridotto a un’astrazione, verso la quale si è liberi di provare i sentimenti, i pensieri, le parole e i gesti più violenti, proprio ciò a cui si oppongono invece i vangeli “corporali” (cf. Mt 5,43-47; 15,21-28; Lc 10,25-37).

In questo brano, infatti, c’è l’armamentario di cui si fa uso per difendere il proprio potere: la manipolazione della Scrittura che diviene uno scudo per difendersi da una realtà disturbante e non via per discernere l’oggi di Dio che eccede il pensare umano; il rifiuto di lasciarsi questionare da una dissonanza e da un fraintendimento come fessura in cui può infilarsi un’altra comprensione della realtà; la demolizione dell’altro nella sua dignità; la rivendicazione miope della propria supremazia religiosa e culturale; la denigrazione sarcastica che nega la competenza del sapiente che rivendica semplicemente il rispetto della Scrittura da parte di chi ne è maestro.

Si rivelano anche le malattie dello spirito che stanno alla radice e sono accresciute dal ricorso a tali mezzi. Emerge l’essere ciechi sul proprio mondo interiore: chi infatti fa del potere un idolo diviene un essere umano senza profondità. E poi trasuda la paura, non detta ma pervasiva. La paura di perdere tutto e, dunque, la fatica a riconoscere la propria precarietà e fragilità. È solo l’annuncio della radicale inconsistenza umana di chi crede di essere qualcosa per il potere che ha.

Chi desidera una vita evangelica deve confrontarsi con ciò cominciando da sé. C’è in me un simile atteggiamento? Come? Dove? Si allarga lo sguardo alla società e alla chiesa da cui si riceve quest’aria inquinata. Forse tante resistenze alla riforma della chiesa nascono proprio qui. Si può benissimo nascondere lo stesso atteggiamento anche in proposte di rinnovamento o di libertà. Non vi è alcuna garanzia, come insegna la contraddizione presente nello stesso Vangelo che, rivelando il male in altri, lo manifesta in sé. Non possiamo essere disattenti a ciò che si muove dentro noi, alle paure non dette, ai bisogni ambigui, ai desideri contraddittori. Disattenzione significa asservimento.

Il vangelo è uno specchio per leggerci. Attraverso le parole del Vangelo si può avere contezza della propria verità interiore senza alcuna paura, perché il Dio che dà le parole per dirsi ci accoglie nella sua vita così come siamo, e nel Figlio mostra una via per imparare a camminare in questa libertà che è conquista e caduta quotidiane (Gv 14,6).

fratel Davide


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