Non abituarsi al buio

Foto di Carolina Pimenta su Unsplash
Foto di Carolina Pimenta su Unsplash

11 maggio 2023

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 9,1-16 (Lezionario di Bose)

In quel tempo Gesù1 passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe» - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: «Va' a Sìloe e làvati!». Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so».13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro.


È una luce pasquale quella che illumina gli occhi di un uomo cieco dalla nascita. Nel suo sguardo si accende una luce nuova, ma questa sembra una luce riflessa, una luce seconda: la prima luce è quella dello sguardo di Gesù stesso. Sta scritto, infatti: «Passando, vide un uomo cieco dalla nascita» (v. 1). È Gesù che, passando, vede per primo il mendicante dagli occhi spenti, si accorge di lui, e se ne prende cura. «Una delle verità capitali del cristianesimo, oggi misconosciuta da tutti, è questa: la salvezza sta nello sguardo» (S. Weil).

Gesù non vede un caso, né un caso umano né un caso clinico, non vede un cieco, ma una persona nella sua ferita, della sua impotenza, nella sua fragilità, vede un volto, una storia, una biografia, un groviglio di legami e aporie. «Non esistono scuole per guardare. Ci vuole un duro esercizio per apprendere l’arte dello sguardo. Chi guarda bene si ammala più difficilmente. Le cose che entrano dagli occhi possono essere farmaci» (F. Arminio).

La vita di quel cieco mendicante è una vita che torna ad essere illuminata, cambiata, rinnovata, rimessa nel movimento della vita e della lode. Dopo quell’incontro è «cambiata la sua vita, non solo la vita degli occhi, la sua vita dentro, una vita arresa, un’anima arresa; e non una implorazione, come capitò invece ad altri ciechi; come se la sua sorte fosse segnata inesorabile per sempre, una vita a mendicare. Anche noi a volte arresi, e qualche volta non ci viene più nemmeno grido, mendichiamo avanzi, brandelli di sogni strappati» (A. Casati).

Quel cieco infatti non chiede nulla, non si rivolge a Gesù, non implora di recuperare la vista: è rassegnato, rincantucciato nella sua cecità e nella sua mendicità. C’è a volte una rassegnazione del nostro vivere che spegne dentro di noi qualsiasi barlume di luce, come in un monologo interiore in cui ci ritroviamo a dire a noi stessi: «Non ho altro da dire. C’è stato un periodo buio nella mia vita e ho pensato che lui fosse luce. Poi ho capito che non era la luce, ma la mano che avrebbe spento l’oscurità. Poi un giorno ho visto che di luce non ce n’era più, né dentro di lui, né dentro di me. A quel punto ho dato la colpa a lui. Poi a me. Adesso il buio mi piace» (A. Aciman).

Ma Gesù, passando, lo vede: non gli passa accanto, non passa oltre, al modo di altri passanti disattenti, di fretta, che non rallentano il loro andare, che guardano avanti, dritto davanti a loro, per non essere disturbati, scomodati, inquietati da una mano tesa, da un bisognoso seduto all’angolo della strada, da un impuro, da un paria che turba il nostro senso estetico e rischia di intralciare la nostra andatura affrettata.

«“Gesù passando vide”: i suoi occhi erano sposati alla compassione, alla tenerezza. La tenerezza la sentì nella spalmatura del fango sugli occhi. Sentire tenerezza nelle mani… Quand’anche le vicende della vita, ti avessero indotto alla resa, non dimenticare mai che Gesù passando ti vede. E anche tu non dimenticare mai donne e uomini che gli si strozza il grido in gola, arresi. Non aggregarti mai a quelli che cancellano brandelli di sogni, non aggregarti mai a quelli che discutono e non vedono, non hanno occhi sposati alla tenerezza» (A. Casati).

Colui che è «la luce del mondo» (v. 5) tocca con delicatezza i nostri occhi annottati e, con un nuovo gesto di creazione, ci fa creature nuove, rinate nella luce e rese finalmente capaci di vedere la luce nella Sua luce (cf. Sal 36,10).

un fratello di Bose


Iscriviti al vangelo del giorno per ricevere la nostra newsletter