“Perché la mia gioia sia in voi!”

Foto di Lesia and Serhii Artymovych su Unsplash
Foto di Lesia and Serhii Artymovych su Unsplash

20 maggio 2023

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 15,1-11 (Lezionario di Bose)

In quel tempo Gesù disse:1 «Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. 9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.


L’immagine della vigna o vite è cara a tutta la Bibbia. La vite è innanzitutto il frutto della terra promessa (cf. Nm 14); la vite dà il vino “che rallegra il cuore dell’uomo” (Sal 104,15), è cioè il simbolo della gioia e dell’amore, di quel “di più” necessario alla vita perché sia una vita umana; per Israele è anche simbolo di una vita sedentaria che può godere dei frutti abbondanti del proprio lavoro. La vigna è poi simbolo del popolo dell’alleanza, che è oggetto delle cure amorose di Dio, ma che più riceve benedizione, più si dimentica di lui e si attacca agli idoli (cf. Is 5,1-7; Ger 2,21). Anche il Sal 80 rilegge la storia d’Israele con la metafora di una vigna strappata dall’Egitto e trapiantata da Dio nella terra promessa; una vigna che diventa florida fino a riempire tutta la terra, dai monti fino al mare e al grande fiume Eufrate. Eppure ora la vigna è desolata, dice il salmo che si scioglie in un’invocazione e chiede al Signore che torni a visitare la sua vigna come il suo figlio amato: “Guarda dal cielo e vedai, e visita questa vigna, proteggi ciò che la tua destra ha piantato, il Figlio che hai reso forte per te” (Sal 80,15-16). 

La parabola di Gesù si presenta come la sua personale risposta messianica a quel grido di preghiera espresso dal popolo dell’alleanza, ormai non più in grado di sostenere da solo la dignità della propria vocazione di vigna scelta dal Signore (cf. Mc 12,1-12 e par.). E così ora la vigna è Gesù stesso. In lui c’è il passaggio dalla vigna alla vite, dai molti all’unico, dal collettivo al singolo che rappresenta tutti, e in cui si incontrano la risposta di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio. In lui finalmente la terra può dare e “dà il suo frutto” (Sal 67,7; 85,13).

Da questo momento per essere popolo di Dio bisogna essere uniti a lui, innestati in lui come i tralci sul tronco di una vite. L’alleanza incessantemente violata dal popolo viene così rinnovata finalmente, e una volta per tutte, nel Figlio. L’immagine della vite è dunque cristologica ed ecclesiologica insieme: la vigna amata del Padre è Gesù stesso, ma in lui tutta la comunità dei credenti. Nel pensiero di Giovanni Gesù stesso è la chiesa: i credenti infatti non possono esserlo se non in lui, se non uniti a lui, come i tralci di una vite. Un’unica vita circola e si diffonde nella vite e nei tralci, a condizione che i tralci siano veri tralci. E le condizioni per essere veri tralci della “vite vera” che è Gesù secondo il nostro testo sono due: “rimanere in lui” e “dare frutto”. Uno di questi frutti, sottolineati dal nostro testo, è la gioia. 

Qui e nella grande preghiera finale che rivolge al Padre, in Gv 17,13, nell’imminenza della sua passione, sono le uniche volte nei vangeli in cui Gesù parla esplicitamente della sua gioia, e ne parla come di un’esperienza di amore: egli si è sentito amato e rimane nell’amore del Padre fino alla fine; e come per tutti gli esseri umani questa è l’unica esperienza che possa cambiare la vita, che faccia realmente vivere e crescere. La gioia dell’amore del Padre è dunque il senso della vita di Gesù, un senso che lascia in eredità ai discepoli perché essi ne facciano tesoro, e diventi la loro gioia, come altrove in modo simile, sempre nel contesto dei discorsi di addio, Gesù dice della pace: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace, non come la dà il mondo io la do a voi” (Gv 14,27); “Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me” (Gv 16,33).

fratel Luigi


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