Il frutto dell’amore
22 maggio 2023
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 15,1-11 (Lezionario di Bose)
In quel tempo Gesù disse: « 12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri. 18Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. 19Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia. 20Ricordatevi della parola che io vi ho detto: «Un servo non è più grande del suo padrone». Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. 21Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. 22Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. 23Chi odia me, odia anche il Padre mio. 24Se non avessi compiuto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai compiuto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio. 25Ma questo, perché si compisse la parola che sta scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione.
Il testo di oggi continua il “discorso di addio di Gesù”. Dopo l’ultima cena, la lavanda dei piedi, il tradimento di Giuda, la prospettiva della passione e morte rende palpabile lo smarrimento dei discepoli. “Signore dove vai?” (Gv 13,36), chiede Pietro e lì iniziano le appassionate e intense parole di Gesù ai suoi per indicare loro “la via” per il futuro.
Nell’assenza ci sarà un nuovo modo di stare insieme e la comunione con il Maestro si manterrà viva attraverso la custodia dei suoi insegnamenti, il ricordo delle sue parole, dei suoi gesti, dei suoi segni. E soprattutto attraverso l’esercizio dell’amore gli uni verso gli altri, come ha fatto Gesù, donando la sua vita per tutti.
I versetti di oggi ripartono proprio dal “comandamento nuovo” rivisto e ripresentato attraverso l’immagine della vite, del vignaiolo, dei tralci, dei frutti descritti appena prima. I discepoli sono i tralci della vite che è Gesù, legati a lui, nutriti della linfa vitale, come quell’amore che non tiene nulla per sé. Sì perché tutta la forza della vite va nei tralci, nelle foglie e poi nei grappoli che crescono e maturano. Tralci che sono prediletti come gli amici che più ci toccano nelle viscere, verso i quali c’è una dedizione incondizionata, quasi istintiva. Tutto ciò sotto la guida di colui che è una cosa sola con Gesù, il Padre, il vignaiolo, che conosce bene la vite, la pota, la guarda, la custodisce.
Ai discepoli e a noi stessi, lettori e attori del racconto, viene ribadito che il “portare molto frutto” è il cuore della volontà del Padre e del Figlio verso le loro creature. Non bisogna cedere al cinismo e alla fatalità di fronte alle realtà scomode della propria vita: ognuno sperimenta assenze, addii, errori, mancanze, “piccole morti”. Ma il Signore è lì per ricordarci che siamo suoi amici, siamo coloro che hanno avuto il dono grande di un Dio divenuto uomo come noi, che ha condiviso tutto con noi, soprattutto le nostre fragilità, che si prende grande cura di noi e rimane con noi.
La seconda parte del testo ci ricorda proprio che nulla è facile, nulla è scontato, ma è frutto di un faticoso corpo a corpo con quello che Giovanni chiama “il mondo”. Un mondo che è sì quello esterno, che rifiuta la logica del dono e della condivisione e opera per mantenere i propri tornaconti e vantaggi e che nella storia ha tolto di mezzo Gesù e perseguitato i suoi discepoli. Ma è anche il mondo che ci abita, con la tentazione, nell’intimo, di non accettare fino in fondo la logica del “deporre la propria vita”. Sì il peccato più grande è vedere e non amare-non accogliere (cf. Gv 15,24) quella logica perché temiamo che non resti più niente per noi. Abbiamo paura di perdere, di diventare insignificanti, senza più nulla da dare. Pensiamo che se lasciamo tutto perderemo la nostra efficacia nell’essere di aiuto per gli altri, non saremo in grado di aiutare più nessuno, neppure il Signore!
Il vangelo però ha una via alternativa: tenere fisso lo sguardo su Gesù e i passi dietro a lui fino a passare per la cruna dell’ago… e amare fino alla fine. E anziché andarsene tristi come il giovane che non seguì Gesù perché aveva molti beni, potremo trovare “la gioia piena”.
fratel Marco