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Domingo de Ramos e da Paixão do Senhor


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Celebrazione eucaristica


Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mt 26,14-27,66

L’obbedienza a Dio consente al Servo (I lettura) e a Gesù (vangelo e II lettura) di sostenere la dolorosa sottomissione agli uomini e alla loro violenza. La fede del servo Gesù appare così fedeltà radicale a Dio e solidarietà con gli uomini che riscatta il male con il bene.

Il racconto di Matteo è anzitutto cristologico: Gesù è al centro della narrazione come figura ieratica che domina gli eventi con autorevolezza di Signore. Si preannuncia la theologia gloriae del racconto giovanneo. Il Cristo della passione di Matteo è più simile al Cristo maestoso dei mosaici bizantini che al Gesù kenotico della narrazione di Marco. Egli domina gli eventi: lo mostra l’introduzione all’intero racconto (il “titolo” della passione matteana: cf. Mt 26,1-2). Gesù sa ciò cui va incontro e lo dice: alla luce di questa conoscenza vengono ridimensionati gli sforzi di Giuda e i complotti dei suoi avversari per arrestarlo. In verità, ciò che nella passione si compie è il disegno di Dio manifestato nelle Scritture: la corrispondenza tra particolari anche banali e testi scritturistici diviene per Matteo occasione di mostrare che la passione ha un fondamento metastorico, è il compimento drammatico della storia di Dio con l’umanità. L’autorevolezza incomparabile di Gesù è dovuta alla sua conoscenza e accettazione della volontà divina, in altre parole, alla sua obbedienza alle Scritture (cf. l’annotazione solo matteana di 26,53-54). Sempre attento al compimento delle Scritture, Matteo lo è ancor più nel racconto culminante del vangelo (cf. le inserzioni matteane di 26,15; 27,9-10; 27,43). La signoria che Gesù mostra (in particolare con le con cui interviene per dare il senso degli eventi, per ammonire e correggere: cf. 26,1-2.52-54) si accompagna alla sua obbedienza: egli è il Servo del Signore (cf. 26,28 che riprende Is 53,12), il Giusto (27,19), cioè colui che non persegue la propria volontà, ma compie quella del Padre. Gesù è il Figlio di Dio (27,54), espressione che non indica un’identità di natura, ma una totale comunione di volere e di agire.