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III Domingo de Páscoa


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8 Maio 2011
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANCIARDI
O estrangeiro que nos visita, que cruza os nossos caminhos, encontra muitas vezes, analogamente, a nossa desconfiança, a nossa superioridade, o nosso medo, o nosso ódio. Mas, nós tememo-lo de facto, porque ele nos conduz a um confronto com nós mesmos.

Domingo 8 Maio 2011

Ano A

Act 2,14.22-33; Sal 15; 1Pe 1,17-21; Lc 24,13-35

L’annuncio pasquale risuona in modo diverso nei testi biblici odierni: nel resoconto scettico dei due di Emmaus (“Egli è vivente”: Lc 24,23), nell’annuncio vigoroso della predicazione di Pietro (“Questo Gesù Dio l’ha risuscitato”: At 2,32), nella comunicazione di fede che Pietro indirizza alle comunità destinatarie della sua prima lettera (“Dio l’ha risuscitato dai morti”: 1Pt 1,21).

Il Risorto manifesta la sua presenza negli apostoli che sono divenuti suoi testimoni e che annunciandolo lo rendono presente tra gli uomini (cf. At 2,32); nella fede e nella speranza che abitano i credenti (cf. 1Pt 1,21); nella riunione comunitaria e liturgica degli Undici a Gerusalemme (cf. Lc 24,33-35); nella Parola spiegata e nel Pane condiviso (cf. Lc 24,25-32).

Il tema del cammino è presente nelle tre letture. La resurrezione di Cristo è profetizzata dal mutamento attuato da Dio del cammino di morte del fedele in cammino di vita (Salmo 16 citato in At 2,25-28); la fede nel Cristo risorto nasce nei due di Emmaus durante un cammino che non è solo geografico, ma spirituale e che attraversa la disillusione e il dubbio, il vuoto e lo scetticismo (vangelo); la fede nel Cristo risorto dà origine a un tipo di presenza cristiana nel mondo descritta come paroikía, cammino nel timore e nella speranza, cammino come in terra straniera (II lettura).


 

Per i due di Emmaus l’incontro con il Risorto segna il passaggio dalla de-missione alla missione e diviene la storia di una ri-creazione. Le loro orecchie ascoltano la spiegazione della Scrittura, il loro cuore viene rianimato e scaldato, i loro occhi si aprono, la loro parola ritrova capacità di comunicazione e di comunione, le loro persone ridiventano capaci di relazione: insistono perché Gesù, che prima avevano trattato con sufficienza, si fermi con loro e sieda a tavola con loro.. Essi ritrovano il coraggio della relazione e della speranza. E trovano la forza di ritornare alla comunità che avevano abbandonato. Sì, a volte è difficile rimanere nella chiesa e la tentazione dell’abbandono si può far sentire, per i più svariati motivi. Ma il motivo unico che rende vivibile la chiesa è la fede nel Risorto: grazie a essa è possibile non solo perseverare, ma fare della perseveranza un’esperienza di resurrezione, una partecipazione spirituale alla vita del Risorto. La chiesa, pur con le sue povertà e i suoi peccati, è il corpo di Cristo, il reale luogo della fraternità che impedisce la riduzione della fede a docetismo o a gnosi.
La presenza del Risorto è invisibile e silenziosa. Essa si rende visibile nel volto di uno straniero, di un pellegrino che diviene improvvisato compagno di strada, e parla attraverso le parole della Scrittura. La Bibbia e l’altro uomo, la Parola di Dio contenuta nelle Scritture e il volto dell’altro, soprattutto dello straniero e del povero, sono luoghi per eccellenza in cui la presenza del Risorto può incontrarci ricordandoci il comando evangelico: ama Dio e il tuo prossimo.

Il forestiero sconosciuto diventa il portatore della rivelazione. Lo straniero incontrato da Cleopa e dall’altro discepolo anonimo non viene riconosciuto e deve scontrarsi con la loro diffidenza e sufficienza, salvo rivelarsi poi l’inviato di Dio. Il riconoscimento dello straniero passa attraverso un lavoro di memoria che restituisce i due discepoli alla loro storia. Più che sconosciuto, era non-riconosciuto. Riconosciutolo, non lo vedono più, ma sono rinviati a se stessi e possono riannodare i fili della loro storia e ricompattare la loro comunità. O estrangeiro que nos visita, que cruza os nossos caminhos, encontra muitas vezes, analogamente, a nossa desconfiança, a nossa superioridade, o nosso medo, o nosso ódio. Mas, na verdade, nós tememo-lo porque ele nos conduz a um confronto com nós mesmos. Lo straniero fa di noi degli stranieri: lui è straniero per me e io sono straniero per lui. Egli rivela, personalizzandola con la sua diversità evidente, una dimensione nascosta, e temibile, di me. Riconoscere lui (senza appropriarsi di lui) significa anche riconoscere noi stessi (senza disappropriarci di noi). Allora l’incontro può divenire apparizione.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero

Páscoa - Missa Vespertina


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Domingo 24 Abril 2011
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
O caminho de conversão, isto é, de regresso a Jerusalém, dos dois amigos de Emaús, contém os elementos essenciais para um itinerário de conversão

domenica 24 aprile 2011

Anno A
Lc 24,13-35

Gli eventi narrati nel nostro brano evangelico sono collocati da Luca nel giorno della resurrezione. Cioè, il primo giorno dopo il sabato, il primo giorno della settimana, il “giorno del Signore” (Ap 1,10), quel giorno che diventerà nella tradizione cristiana un tempo sacramentale memoria della resurrezione di Gesù. La resurrezione, le apparizioni del Risorto, il dono dello Spirito sono situati dal Nuovo Testamento in questo giorno, la domenica, in cui i cristiani si riuniscono nell’assemblea eucaristica per celebrare la pasqua settimanale. Giorno non rimpiazzabile o sostituibile con altri (per esempio il giovedì in cui il Signore ha consumato l’ultima cena), la domenica è memoria dell’evento pasquale. Custodire e trasmettere la fede significa anche, e in particolare, santificare il tempo facendo concretamente della domenica il giorno del Signore.

L’incontro con il Risorto si manifesta, per i due discepoli di Emmaus, come passaggio dalla divisione alla comunione. Divisione anzitutto rispetto alla comunità gerosolimitana da cui si allontanano, ma poi divisione tra di loro, come appare dalla discussione che li accalora e che sfocia quasi in litigio. Il verbo usato da Luca (syzeteîn: v. 15) appare altrove per indicare un litigio, una discussione cieca (cf. Lc 22,23), un’aperta contrapposizione (cf. At 6,9; 9,29). La pedagogia di Gesù conduce i due, attraverso la spiegazione cristologica delle Scritture (v. 27) e la fractio panis (v. 30), a ritrovare unità in se stessi (il fuoco che arde nel loro petto), tra di loro (il loro parlare diviene una comunicazione della loro esperienza spirituale: v. 32) e con la loro comunità a cui fanno prontamente ritorno (vv. 33-35).


 

La spiegazione delle Scritture fatta da Gesù non è dettagliata: non sappiamo che cosa Gesù abbia detto. Ma il lettore dell’opera lucana potrà avere tale spiegazione dalla bocca degli apostoli se leggerà gli Atti degli apostoli dove la predicazione apostolica altro non sarà che esegesi spirituale e cristologica delle Scritture, in particolare delle profezie veterotestamentarie (cf. At 8,5 ss.). La chiesa è chiamata a fare ciò che Gesù stesso ha fatto. La predicazione ecclesiale delle Scritture ha il compito di annunciare l’evento pasquale e di guidare a Cristo.

L’apertura degli occhi dei due di Emmaus appare come una rinascita, un’illuminazione, da accostarsi all’apertura del cuore operata dal Signore su Lidia mentre ascoltava la predicazione di Paolo (cf. At 16,14) e all’apertura della mente attuata dal Risorto sugli Undici a Gerusalemme con la spiegazione delle Scritture alla luce dell’evento pasquale (cf. Lc 24,45). Questa apertura di ciò che prima era chiuso è manifestazione di resurrezione ed è dovuta all’apertura della Scrittura che il Signore stesso compie. Dice il salmista: “L’apertura delle tue parole illumina, dà intelligenza ai semplici” (Sal 119,130). La spiegazione delle Scritture nello Spirito santo attua la resurrezione a parola vivente della parola biblica e la ricreazione del cuore e della mente dell’ascoltatore. Nella chiesa occorrerebbe avere coscienza che proclamare e spiegare le Scritture significa inserirsi nella dinamica pasquale: ogni proclamazione liturgica della Parola dovrebbe essere esperienza di resurrezione grazie allo Spirito che guida chi annuncia e proclama la Parola e che interiorizza la presenza del Signore nel cuore di chi ascolta. Così la chiesa nel suo insieme viene aperta dalla Parola e dallo Spirito ad accogliere il novum che il Signore opera nella storia e fa essa stessa esperienza di resurrezione passando dalle sue paure e chiusure al coraggio di una parola ispirata nella sua missione.

Il cammino di conversione, cioè di ritorno a Gerusalemme dei due di Emmaus, contiene elementi essenziali per ogni itinerario di conversione. Anzitutto il rispetto, nel senso etimologico di retro aspicere, guardare indietro vedendo il passato in modo rinnovato; quindi il coraggio di riconoscere gli errori; infine l’umiltà di cambiare strada e ritornare a Gerusalemme aggregandosi nuovamente alla comunità da cui ci si era allontanati.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero

 

Sexta feira Santa


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22 Abril 2011
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
A Paixão e a morte de Jesús podem ser vistas como mistério de obediência. O servo anunciado por Isaías submete-se à violência daqueles que o conduzem à morte, permanecendo fiel ao seu Senhor (cf Is 50,7);

venerdì 22 aprile 2011

Anno A
Is 52,13-53,12; Sal 30; Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42

La passione e la morte di Gesù possono essere colte come mistero di obbedienza. Il Servo annunciato da Isaia si sottomette alle violenze di coloro che lo conducono a morte restando fedelmente attaccato al suo Signore (cf. Is 50,7); sigillo di questa forza e di questa obbedienza è il suo silenzio (I lettura). L’evento pasquale, fonte di salvezza universale, è visto come mistero di obbedienza del Figlio al Padre che gli consente di affrontare sofferenze e morte divenendo causa di salvezza per quanti obbediranno a lui. Questa obbedienza è sostenuta dalla preghiera intensa e drammatica del Figlio (II lettura). La passione e morte viene letta da Giovanni come compimento, come obbedienza alle Scritture che contengono la volontà di Dio, come compimento dell’amore per Dio e per gli uomini e della missione ricevuta dal Padre. L’obbedienza di Gesù traspare dalla sua coscienza lucida degli eventi (Gv 18,4; 19,28), dalla sua parola autorevole (18,8.19-23.37; 19,11), dal suo tacere (19,9).

In Gv 18,1-11 non siamo di fronte all’arresto di Gesù, di cui si parla solo a partire dal v. 12, ma al confronto-scontro tra Gesù (con i suoi discepoli), da una parte, e Giuda (con i soldati), dall’altra. La scena avviene in un giardino (18,1; cf. anche 19,41), come il primo scontro tra bene e male avvenne nel giardino dell’in-principio. Entrare nella passione è entrare in una lotta: Gesù vi entra con la forza dell’amore (Gv 13,1) e dell’obbedienza al Padre (19,11).

Recandosi nel giardino che anche Giuda conosceva bene (18,2), Gesù sembra facilitare il compito del traditore: Gesù si sottomette alla libertà di Giuda, ma conserva la sua libertà di amare, di amare anche Giuda, anche il suo nemico. Gesù ama i suoi, tutti i suoi, fino alla fine.

La forza dell’obbedienza di Gesù traspare dalle sue parole che atterriscono i suoi avversari e che echeggiano la rivelazione del nome divino: “Io sono” (18,5.6.8; cf. Es 3,14; Is 43,10). L’intima comunione di Gesù con il Padre e il suo obbedire alla parola del Padre, espresse durante tutto il quarto vangelo, sono il fondamento dell’autorevolezza e della forza che emanano dall’umanità di Gesù, del timore che essa incute e che i suoi avversari non sanno sostenere (18,6).


 

Di fronte a Gesù si svela il realismo cinico del sommo sacerdote Caifa (18,14; cf. 11,49-50), il rifiuto della responsabilità da parte di Pilato che sacrifica la convinzione di innocenza di Gesù alla salvaguardia del proprio potere (18,38; 19,4.12), il ricorso al ricatto nei confronti di Pilato dei capi giudei che vogliono a tutti i costi la condanna di Gesù (19,12), il carattere passivo della folla, della massa, esposta alle manipolazioni e alle strumentalizzazioni di chi ha un potere (politico o religioso) da conservare. Sorge la domanda: chi è veramente soggetto in questa vicenda? Giovanni lascia che la figura di Gesù si stagli con forza e autorevolezza signoriali.

La proclamazione della regalità di Gesù sul cartiglio della croce riveste, nella teologia giovannea, il valore di una profezia: quali che siano le intenzioni con cui è stato scritto, ciò che è scritto (e lo scritto rimane!) afferma la verità teologica: Gesù è veramente re e la croce è il trono regale. La croce parla. E proclama che quel Gesù che proviene da Nazaret è il re dei giudei. Dagli inizi fino alla fine, da Nazaret (“Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”: Gv 1,46) fino alla croce (e alla dimensione di ignominia che essa comportava) la vicenda di Gesù narra il realizzarsi della volontà di Dio e il manifestarsi della sua gloria in modi e forme che spiazzano la razionalità e la sapienza mondane e religiose. È lo scandalo dell’incarnazione, del Verbo fatto carne. Ed è lo scandalo della croce, del Messia crocifisso.

Contemplare l’Innalzato sulla croce comporta una dimensione ecclesiologica inerente, in particolare, il dono e il compito dell’unità della chiesa. Scrive Agostino, commentando Gv 19,23-24: “Le vesti di Cristo divise in quattro parti rappresentano la chiesa disseminata ai quattro angoli del mondo. La tunica tirata a sorte simboleggia l’unità delle diverse parti grazie al legame della carità”.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero

Domingo de Ramos e da Paixão do Senhor


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Domingo 17 Abril 2011
Reflexões sobre as leituras
de LUCIANO MANICARDI
A autoridade incomparável de Jesús deve-se ao seu conhecimento e aceitação da vontade divina; por outras palavras deve-se à obediência às Escrituras

Ano A 

Procissão

Mt 21,1-11

A entrada de Jesús em Jerusalém é posta, em Mateus, sob o signo do cumprimento da Palavra profética (cf. Mt 21,4-5). A citação de Zc 9,9 põe Jesús na esteira do Rei "justo, salvado e humilde" (segundo o texto hebraico) de que fala o texto profético. Mas é significativo que o incipit do trecho de Zacarias, que convidava Jerusalém à alegria (“Exulta de alegria, filha de Sião! Solta gritos de júbilo, flha de Jerusalém!"), seja substiuído em Mateus com uma citação de Is. 62,11: “Dizei à filha de Sião: aí vem o teu Rei, ao teu encontro, manso e montado num jumentinho;” (Mt 21,5). Desta forma a entrada de Jesús na cidade santa tranforma-se uma palavra para Sião, um anúncio que a interpela mas a que a cidade não responde com alegria mas sim com perturbação e desconfiança: "...,toda a cidade ficou em alvoroço. "Quem é este?" - perguntavam." (Mt 21,10). Os eventos da vida e da história, lidos à luz das Escrituras, tornam-se Palavra que pede dicernimento ao crente. 

Mateus cita o oráculo de Zacarias mantendo apenas o atributo de mansidão do Rei que entra na cidade santa. A mansidão do "Messias" Jesús (cf. Mt 11,29) consiste na renúncia às prerrogativas reais, ao uso da força e do poder quase ilimitado, para escolher conscientemente a via da humildade, da não-violência, do respeito, do agir pacificamente. Se este Rei é "fraco", é-o graças a uma grande força que presidiu à sua escolha: a escolha de renunciar à força e ao poder.


 

A direcção precisa que Jesús mantém, com resolução, na sua existência e na sua vocação, é expressa no texto evangélico através do absoluto controle dos eventos, enviando os discípulos dois-a-dois, dando-lhes indicações claras e prevendo o que aconteceria (cf. Mt 21,1-3). Mas Jesús prevê eventos banais, que não parecem ter valor histórico ou espiritual. Parece que Jesús quer que as coisas aconteçam assim, que ele monte um burro manso, que depois restituirá ao dono, para narrar e marcar com o ritmo do mular, o caminho de Deus ao encontro do Homem. A reacção de desconhecimento e incompreensão da cidade nos confrontos com este Rei que, só pelo seu agir, rebate as características de um rei da época, é significativa de uma possibilidade permanente para o cristão e para a Igreja: senti-Lo como estranho a si próprio, o Cristo revelado pelos Evangelhos, o Cristo pobre, o Cristo manso, o Cristo que não se impõe. Enfim, o Cristo que escolhe como transporte nã um cavalo, mas um burro. Aquele "Quem é este?" da cidade incrédula, deve impor ao cristão e à Igreja uma outra pergunta: "Quem sou eu?"; "Que imagem do Senhor guia a minha prática cristã?". É à luz da mansidão daquele "Messias", da pobreza daquele Rei, da exclusão daquele que veio, que os cristãos e as Igrejas são chamadas a verificar as suas práticas. O paradoxo tem a função de revelação, mas pode tornar-se obstáculo. 

Mateus sublinha, mais do que os outros evangelistas, a presença de uma multidão numerosa à entrada de Jesús em Jerusalém: “Uma grande multidão...” (v. 8); “E todos...” (vv. 9.11). Grande quantidade de gente que precede e segue Jesús, participação popular, confissão de fé, invocações litúrgicas, gestos de tributo para com Aquele que entra em Jerusalém. Parecem cenas de um evento coroado de sucesso. Mas no meio de todo este alvoroço a presença silenciosa de Jesús. Impõe-se uma questão: a multidão compreende o que está a acontecer? comprende aquilo que é verdadeiramente importante compreender? compreende Jesús e o seu agir paradoxal? A cena posterior da mesma multidão que pede a Pilatos que solte Barrabás, condenando Jesús (cf. Mt 27,20-24), sugere uma resposta negativa à questão. Desde sempre a fé cristã exigiu qualidade (isto é profundidade, interioridade, seriedade, liberdade, coragem , coerência,...), não quantidade. O problema é o terreno bom, não todo o terreno ou cada terreno, porque "onde estiverem dois ou três reunidos em meu nome, Eu estarei no meio deles." (cf. Mt 18,20) e porque "nem todos têm fé." (2Ts 3,2).


 

Celebrazione eucaristica


Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mt 26,14-27,66

L’obbedienza a Dio consente al Servo (I lettura) e a Gesù (vangelo e II lettura) di sostenere la dolorosa sottomissione agli uomini e alla loro violenza. La fede del servo Gesù appare così fedeltà radicale a Dio e solidarietà con gli uomini che riscatta il male con il bene.

Il racconto di Matteo è anzitutto cristologico: Gesù è al centro della narrazione come figura ieratica che domina gli eventi con autorevolezza di Signore. Si preannuncia la theologia gloriae del racconto giovanneo. Il Cristo della passione di Matteo è più simile al Cristo maestoso dei mosaici bizantini che al Gesù kenotico della narrazione di Marco. Egli domina gli eventi: lo mostra l’introduzione all’intero racconto (il “titolo” della passione matteana: cf. Mt 26,1-2). Gesù sa ciò cui va incontro e lo dice: alla luce di questa conoscenza vengono ridimensionati gli sforzi di Giuda e i complotti dei suoi avversari per arrestarlo. In verità, ciò che nella passione si compie è il disegno di Dio manifestato nelle Scritture: la corrispondenza tra particolari anche banali e testi scritturistici diviene per Matteo occasione di mostrare che la passione ha un fondamento metastorico, è il compimento drammatico della storia di Dio con l’umanità. L’autorevolezza incomparabile di Gesù è dovuta alla sua conoscenza e accettazione della volontà divina, in altre parole, alla sua obbedienza alle Scritture (cf. l’annotazione solo matteana di 26,53-54). Sempre attento al compimento delle Scritture, Matteo lo è ancor più nel racconto culminante del vangelo (cf. le inserzioni matteane di 26,15; 27,9-10; 27,43). La signoria che Gesù mostra (in particolare con le con cui interviene per dare il senso degli eventi, per ammonire e correggere: cf. 26,1-2.52-54) si accompagna alla sua obbedienza: egli è il Servo del Signore (cf. 26,28 che riprende Is 53,12), il Giusto (27,19), cioè colui che non persegue la propria volontà, ma compie quella del Padre. Gesù è il Figlio di Dio (27,54), espressione che non indica un’identità di natura, ma una totale comunione di volere e di agire.


 

La dimensione ecclesiale della passione di Matteo traspare da una presentazione dei fatti illuminati dalla fede nel Risorto: questa passione è “un racconto destinato a un’assemblea di credenti” (Xavier Léon-Dufour). La comunità a cui è rivolto il vangelo di Matteo, bisognosa di essere rafforzata nella fede e incoraggiata nelle ostilità, appare, nella sua povertà e piccolezza, destinataria di quel Regno di Dio (cf. 21,43) che è un tema di fondo del primo vangelo. Comunità ormai aperta ai non ebrei, essa vede nell’intervento divino (in sogno) alla moglie di Pilato, una pagana, un’antecedente dell’apertura universalistica che connoterà la comunità cristiana. La passione di Gesù è anche giudizio su Israele, soprattutto sui suoi capi religiosi, i sacerdoti e gli anziani (cf. 27,20): l’espressione in bocca a tutto il popolo e presente solo in Matteo, “il suo sangue (sia) su di noi e sui nostri figli” (cf. 27,25), non è formula di auto-maledizione, ma solo di assunzione di responsabilità giuridica, e nel contesto del racconto, è quanto desiderato da Pilato che si è deresponsabilizzato nei confronti del destino di Gesù (cf. 27,24). L’espressione “sui nostri figli” è un’amplificazione retorica che non può per nulla significare una maledizione che si deve perpetuare nella storia sul popolo d’Israele: Matteo non è tanto interessato a individuare chi sia più colpevole di fronte alla morte di Gesù, ma a mostrare che Gesù è il solo Giusto.

Infine, la morte in croce di Gesù è narrata da Matteo in maniera teologica, non cronachistica: i segni teofanici che la accompagnano (cf. 27,51-53: terremoto, aprirsi dei sepolcri, resurrezione dei santi morti, loro ingresso nella città santa, ecc.) anticipano ciò che avverrà alla fine del mondo. Così Matteo dice che la morte di Gesù costituisce l’evento culminante e decisivo della storia: è già il compimento della storia. Questo testo, solamente matteano, parla della resurrezione di Gesù al momento stesso della sua morte (cf. 27,53), e mostra che la narrazione della passione è rivelazione di un mistero, il mistero della storia di salvezza.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero

 

Páscoa de Ressurreição


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Domingo 24 Abril 2011
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
A fé na ressurreição, que está no centro da fé cristã, não coincide com uma simples confiança na vida, mas acredita na vida que nasce da morte

Domingo 24 Abril 2011

Ano A
Act 10,34.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Jo 20,1-9

O acontecimento da ressurreição de Jesús está presente nas três leituras como narração (evangelho), anúncio (1ª leitura) e  parenesi (2ª leitura). A narração mostra a evolução da fé Pacal, o seu carácter dinâmico que comporta entrar no mistério divino através das evidências de morte compostas pelas ligaduras e pelo sudário que envolviam o corpo e pelo sepulcro (evangelho). O anúncio revela o carácter dinâmico da história da salvação que na resurreição de Jesús encontra um ponto culminante, mas não conclusivo: não fecha a história, antes a orienta de forma renovada. Ora, ao anúncio profético sucede o anúncio e o testemunho apostólico nos tempos da Igreja (1ª leitura). A parenesi mostra o carácter dinâmico da vida do baptizado: com o baptismo o cristão é envolvido na morte e ressurreição de Cristo, pelo que o autor da carta aos Colossenses pode afirmar que ele já ressuscitou com Cristo (cf. Col 3,1). Contudo esta afirmação não coloca o baptizado num ponto de chegada, antes numa procura incessante, num dinamismo espiritual contínuo, sob o signo da graça do dom recebido. A "procura das coisas do céu" por parte do cristão indica que ele é chamado a tornar-se aquilo que já obteve pela graça: a fé no ressuscitado permite ao cristão viver hoje a ressurreição, viver na história como ressuscitado com Cristo (2ª leitura).

O Evangelho apresenta, com as três personagens, um itinerário de fé que é também um itinerário do olhar: de um olhar que tem por objecto a pedra removida do sepulcro, que faz supor que o corpo tenha sido roubado (vv. 1-2), as ligaduras (v. 5), depois as ligaduras e o sudário (20,6-7), até um olhar que não se fixa em nenhum objecto (v. 8), que vê e repousa sobre a fé ou pelo meno sobre um princípio de fé que deverá ser completado com a escuta das Escrituras (v. 9). Um olhar que vê o invisível. A fé cristã confessa e crê na ressurreição vendo sinais de morte. Mas não são estes sinais que nos introduzem na fé na ressurreição, mas sim a inteligência do amor (o “discípulo amado”) e a fé nas Escrituras. Com efeito, no discípulo amado que vê e crê (ou “começou a crer”)”, está a fé que nasce do amor, fides ex charitate. Mas nesta fé está também um "ainda não" que exige plenitude e que diz respeito ao compreender as Escrituras (v. 9).


 

È la fede nella Parola del Signore e nel suo amore che consente di iniziare e continuare a credere la resurrezione in mezzo agli innumerevoli segni di morte che traversano la nostra vita e il nostro mondo. E forse, vivere la fede come fede di essere amati dal Signore, come fede nel suo amore per noi, è alla base della fede nella nostra resurrezione: il suo amore per noi non termina con la nostra morte. Questa fede, che interpreta il vuoto della tomba, può anche soccorrere la nostra vita nel momento del terrore del vuoto di amore e della paura dell’abbandono che ci fa abitare nella morte. Dietro al discepolo amato vi è infatti ogni discepolo di Gesù nella storia chiamato a entrare nella fede del Dio che lomo ama.

L’atto di entrare nel sepolcro da parte di Pietro e poi del discepolo amato (vv. 6.8) ha una valenza simbolica. Noi entriamo, durante la nostra vita, in numerosi luoghi di morte (lutti, separazioni, abbandoni, fine di relazioni e di amicizie, incomunicabilità) e lasciamo anche entrare la morte in noi, divenendo noi un luogo di morte per gli altri (chiusura egoistica, arroganza, abuso, violenza, manipolazione, indifferenza). La fede nella resurrezione, che è al cuore della fede cristiana, non coincide con una semplice fiducia nella vita, ma crede la vita che nasce dalla morte grazie alla forza dell’amore di Cristo. Essa consente di entrare nelle situazioni di morte guardando oltre la morte e vivendo la resurrezione, ovvero amando o cercando di amare come Cristo ha amato e, soprattutto, credendo al suo amore per noi.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero

Quinta feira Santa


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21 Abril 2011
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
A impureza é o não-amor, é trair o amor, sair do amor: mas também para quem entra no não-amor, Jesús mantém o seu amor fiel

Quinta feira 21 Abril 2011

Ano A
Ex 12,1-8.11-14; Sal 115; 1Cor 11,23-26; Jo 13,1-15

Memória da libertação Pascal do Egipto, a primeira leitura é também profecia da Páscoa messiânica, da salvação que Cristo resgatará para a Humanidade com o seu sangue; é durante o banquete Pascal que Jesús cumpre o sinal do dom da sua vida antecipando os eventos da Paixão e morte e Paulo, na segunda leitura, recorda a tradição das Palavras e dos gestos eucarísticos que também ele recebeu e que os cristãos celebrarão "até que o Senhor venha"  (1Cor 11,26); o gesto com que Jesús, de acordo com o quarto Evangelho, depõe as suas vestes e se inclina para lavar os pés aos discípulos, é anúncio e prefiguração da deposição da vida que Jesús consomará na cruz.

Todo o trecho do lava-pés é colocado por João sobre o signo do amor de Jesús pelos seus (cf. Gv 13,1) que narra o grande amor de Jesús pela Humanidade. A Eucaristia, de que o lava-pés é realização existencial, é sacramento do agape, do amor e este amor assume a forma concreta de fazer-se servo dos outros. O gesto de Jesús aos seus discípulos tem um valor de magistério para a Igreja: "Na verdade, dei-vos exemplo para que, assim com Eu fiz, vós façais também." (Jo 13,15). Do Cristo-servo passamos à Igreja-serva. A Eucaristia torna a Igreja participante da missão de Cristo, pelo que cada lógica individualista, cada egoísmo e cada espírito de divisão é a negação da fraternidade e da partilha que caracteriza a Eucaristia (cf. 1Cor 11,17 ss.). Referindo-se à narração Paulina da ceia do Senhor em 1Cor 11, escreveu o então Card. Joseph Ratzinger: “Celebra-se a Eucaristia com o único Cristo e portanto com toda a Igreja, ou então não se celebra. Quem na Eucaristia procura apenas o seu grupo, quem, nela e através dela, não se insere em toda a Igreja e não ultrapassa o seu específico ponto de vista, faz exactamente aquilo que foi criticado aos Cristãos de Corinto. Ele senta-se, com as costas para os outros e assim destrói a Eucaristia para si próprio e disturba-a para os outros. Ele faz apenas a sua ceia e despreza a Igreja de Deus (cf. 1Cor 11,21-22)”.


 

Jesús lavando os pés aos seus discípulos, e também a Judas, mostra um acolhimento incondicional para com "todos": não muitos, não qualquer um, mas todos, também os seus inimigos, como Judas Iscariotes que alojava no seu próprio corpo o propósito diabólico de o trair (cf. Jo 13,2). A Eucaristia é o sacramento de acolhimento de Deus no seu encontro co todos os Homens. Por isso as celebações eucarísticas deveriam exprimir essa humanidade que as faz serem sinal eloquente de acolhimento na senda de Jesús que, na sua vida terrena, encontrou todos, fariseus e publicanos, justos e pecadores, sãos e doentes e a todos exprimiu as exigências do reino e narrou as misericórdias de Deus. Entre as palavras de Jesús pronunciadas durante o lava-pés estão algumas com carácter de juízo: “Nem todos estais limpos” (Jo 13,11). A impureza a que se refere não ritual ou moral, mas está no âmbito do amor. A impureza é o não-amor, é trair o amor, sair do amor: mas também para quem entra no não-amor, Jesús mantém o seu amor fiel. Jesús ama até o seu inimigo. As nossas eucaristias se querem ser fiéis à fórmula dada pelo Senhor devem ser escola de amor, em que se aprende a amar até o inimigo, ou melhor, se aprende a não criar inimigos e a mostrar um vulto de mansidão também nos encontros com quem se faz nosso inimigo.

A Eucaristia é o sacramentum unitatis enquanto celebração da nova aliança no sangue de Cristo: a lei desta aliança é o mandamento novo do amor deixado por Jesús depois do lava-pés (cf. Gv 13,34). A forma da celebração, o ritual, não pode estar senão ao serviço desta verdade constitutiva do mistério eucarístico. A Eucaristia seria negada como ceia do Senhor, como sacramento de amor e de unidade se a sua forma se revestisse de uma importância maior do que o seu conteúdo, produzindo contendas e divisões no corpo comunitário.  

 

LUCIANO MANICARDI

Comunidade de Bose
Eucaristia e Parola
Textos para as celebrações eucarísticas - Ano A
© 2010 Vita e Pensiero

V Domingo de Quaresma


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Domingo 10 Abril 2011
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
A fé e o amor manifestam-se na Palavra com que Jesús ressuscita Lázaro: o escândalo e a loucura de chamar quem está morto e jaz no sepulcro é possível 

Domingo 10 Abril 2011
Ano A
Ez 37,12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Jo 11,1-45

A passagem da morte à vida, centro da mensagem deste Domingo, é prelúdio, sobretudo com a Ressurreição de Lázaro, do evento Pascal que se aproxima. A Ressurreição aparece como um evento histórico: a morte dos filhos de Israel é o exílio na Babilónia que terminará para que o povo retorne à sua terra (1ª leitura); aparece como evento espiritual que caracteriza o crente que, deixando-se guiar pelo Espirito de Deus, passa da vida de carne (de egoísmo e do pecado) à vida em Cristo (2ª leitura); aparece como evento pessoal e corpóreo que conduz Lázaro a sair do túmulo ao ouvir a Palavra de Jesús (Evangelho). Os textos sublinham as três dimensões da morte: se apenas a morte de Lázaro é física, a morte espiritual de quem vive fechado egocentricamente e a morte simbólica do Povo deportado não são menos dramáticas e menos reais. 

 

A morte comunitária de que fala Ezequiel é a morte da Esperança: “...a nossa esperança desvaneceu-se; ficámos reduzidos a isto." (Ez 37,11). Também nós, nas nossas relações (uma amizade, um amor, um casamento,...) comunitárias e eclesiais podemos experimentar a morte da esperança, a ausência de um futuro. Contudo, o nascimento da fé na ressurreição e na esperança Pascal vem através da morte de outras esperanças. O Espírito criador é também o Espírito que dá vida e suscita esperança mesmo onde reina a morte.  Para Paulo, o homem que vive "na carne", na autosuficiência egoista, faz do coração o seu túmulo e é vítima da morte espiritual. Mas o Espírito da Ressurreição que força a impenetrabilidade da morte e faz esvaziar os sepulcros, pode penetrar as redomas individualistas e habitando o coração humano pode fazer renascer o homem para uma vida nova.  


 

O trecho evangélico é uma lição de pedagogia em torno da fé em Cristo, que é a Ressurreição e a Vida. O diálogo entre Jesús e Marta é centrado no crer: "Quem crê em mim, mesmo que tenha morrido, viverá" (Jo 11,25); “Crês nisto?” (11,26); “Sim, ó Senhor; eu creio...." (11,27). Diante da insegurança e precaridade que a prespectiva da morte gera nas nossas vidas (“por causa da morte, nós, homens, somos como cidades sem muros": Epicuro), nós somos tentados a construir baluartes, defesas e barreiras que nos protejam dela. Por causa do medo, somos levados a ter um comportamento defensivo. E assim fazemos, também da vida, morte e escravidão (“...aqueles que, por medo da morte, passavam toda a vida dominados pela escravidão" (Heb 2,15): procurando defendermo-nos da morte, afastamo-nos da vida. Jesús, pelo contrário, pedindo fé e confiança, pede que entremos no seu comportamento face à morte (“Eu já sabia que sempre me atendes,...”: Gv 11,42), comportamento que, enquanto assume a morte e sofre por quem está morto, faz também da morte, vida; vivifica a morte. A fé é o lugar da Ressurreição. A fé de Jesus é assim um magistério porque aprendemos a crer: “... mas Eu disse isto por causa da gente que me rodeia, para que venham a crer que Tu me enviaste." (Gv 11,42). Diz uma homilia de Pseudo Ippolito: “Tendo tu visto a obra divina do Senhor Jesús, não duvides mais da Ressurreição! Lázaro seja para ti como um espelho: contemplando-te nele, crê no despertar".

Se a fé é o lugar da Ressurreição, o amor é a força: Jesús amava muito Lázaro (Jo 11,5) e este amor fez-se visível no seu pranto (cf. 11,35-36). O amor integra a morte na vida e encontra sentido para esta no dom: dar a vida é dar vida. Ter fé em Jesus que é ressurreição e vida significa fazer do amor um lugar em que a morte é posta ao serviço da vida.  

A fé e o amor manifestam-se na Palavra com que Jesús ressuscita Lázaro: o escândalo e a loucura de chamar quem está morto e jaz no sepulcro é possível  graças à fé n'Aquele que ressuscita os mortos e ao amor -ao humaníssimo amor- que unia Jesús a Lázaro. O poder de ressurreição da Palavra de Jesús está todo na fé e no amor que ela contém.

 

LUCIANO MANICARDI

Comunidade de Bose
Eucaristia e Parola
Textos para as Celebrações Eucarísticas - Ano A
© 2010 Vita e Pensiero