Conclusões do Congresso

XX Congresso Ecuménico Internacional de espiritualidade ortodoxa
O HOMEM, DEFENSOR DA CRIAÇÃO
Mosteiro de Bose, 5 - 8 de Setembro de 2012
em colaboração com as Igrejas Ortodoxas

 XX Convegno Ecumenico InternazionaleCONCLUSÕES DO CONGRESSO (em língua italiana)

Conclusioni lette a nome del comitato scientifico
da MICHEL VAN PARYS

L’uomo è veramente il guardiano e il sovrintendente della creazione di Dio buona e bella? La grave crisi ecologica che tocca la nostra umanità e che va aggravandosi, interpella le chiese cristiane. La comunità di Bose, per questo XX convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, ha voluto far sua una delle preoccupazioni maggiori e prioritarie di Sua Santità il patriarca ecumenico Bartolomeo I.

Teologi e storici ortodossi, provenienti da pressoché tutte le chiese ortodosse, ci hanno aiutato a interrogare la loro tradizione teologica, liturgica e monastica, al fine di trovare degli elementi teologici di risposta e indicazioni di comportamenti pratici da proporre.

1. Iniziamo ripercorrendo brevemente l’itinerario della nostra riflessione, e rilevando gli elementi che ci sono parsi significativi per l’approfondimento dei temi di questo convegno.

1.1 Fratel Enzo Bianchi ha anzitutto tracciato a grandi linee un affresco di quello che la Parola di Dio ci insegna sulla creazione e sull’uomo, sovrintendente del creato. Il mondo, l’universo, è un dono di Dio all’uomo, un dono che gli è affidato. La Parola fatta carne in Gesù Cristo offre la chiave di comprensione del disegno di Dio sull’uomo e sulla creazione: la creazione è voluta da Dio Padre, essa è avvenuta e avviene per mezzo del Figlio, lo Spirito santo la porta a compimento. La creazione tutta intera tende alla ricapitolazione (anakefaláiosis) nel Verbo incarnato (1Cor 15,28). Ma Dio abita anche nell’uomo che crede al Figlio salvatore ed è presente alla sua creazione, se ci è permessa l’espressione, trinitariamente. Il mondo è destinato a divenire il tempio di Dio. Se la creazione canta la gloria di Dio, la vocazione dell’uomo è diventare voce della glorificazione universale del Dio creatore.

La Bibbia tuttavia non ignora la tragedia del peccato dell’uomo, che colpisce e degrada solidalmente sia l’umanità sia la natura. L’una e l’altra attendono un salvatore. Il passo dell’epistola di san Paolo ai Romani (Rm 8,14-23), più volte citato nel corso del convegno, ci rende consapevoli che la creazione attende in gemiti inesprimibili la salvezza dell’uomo. Essa aspira alla piena manifestazione dei figli adottivi di Dio, quando il Figlio di Dio verrà nella gloria e asciugherà ogni lacrima di sofferenza.

La creazione di Dio è buona e bella nella sua diversità. L’uomo non cessa d’imparare a condividere lo spazio e il tempo donati da Dio insieme con il suo altro, la donna, e con il mondo animale. Questa condivisione con le co-creature è ferita mortalmente dalla rivolta dell’uomo. Nella Pasqua di Gesù Cristo, nella sua croce, morte e resurrezione, il progetto d’amore e di comunione, quello che Ireneo di Lione chiama l’economia di Dio verso l’uomo e la creazione, infine si realizza, più pienamente che nell’esistenza paradisiaca. Mirabilius reformasti, tu hai restaurato con maggiore splendore la tua creatura.

In questa restaurazione “più meravigliosa”, l’uomo, per Cristo e in Cristo, diventa il “co-operatore” della creazione di Dio. La prima dimora dell’umano era il giardino del paradiso. La dimora eterna dell’uomo è la Gerusalemme celeste, città che discende dal cielo, dono di Dio, e al tempo stesso opera dell’uomo salvato, “città-giardino”.

1.2 Il metropolita Ioannis di Pergamo e il vescovo Amvrosij di Gatčina ci hanno entrambi parlato delle ragioni che hanno portato i patriarcati di Costantinopoli e di Mosca a impegnarsi nella causa della protezione dell’ambiente naturale e dell’uomo. Una nozione chiave è apparsa in questo contesto: l’uomo, ed eminentemente il cristiano, deve essere il sacerdote della creazione per offrirla a Dio. È colui che unisce nella sua persona la materia e lo spirito; è il legame vivente tra le creature visibili e invisibili, come recita il Credo niceno-costantinopolitano. Oggi le chiese sono chiamate a cercare paradigmi e modelli teorici e operativi, ispirati alla tradizione dei padri della chiesa, da proporre a politici e scienziati. La protezione dell’ambiente naturale spetta alla responsabilità umana. È una questione etica. Due certezze della fede si profilano a questo livello: è impossibile guarire la terra ferita senza guarire l’anima ferita dell’uomo. L’uomo deve porre dei limiti alla propria insaziabilità attraverso l’ascesi. Allora, e allora soltanto, l’ethos eucaristico, di cui si è spesso parlato in questi giorni, potrà portare i suoi frutti. L’uomo porta a Dio in offerta ciò che Dio stesso gli ha donato, il frumento e la vite trasformati in pane e in vino (coltivazione e cultura al tempo stesso); per la potenza dello Spirito santo il pane e il vino divengono il Corpo e il Sangue del Risorto, Figlio di Dio e figlio dell’uomo. Questa comunione d’alleanza tra Dio e l’uomo è il culmine dell’inabitazione del Dio trinitario nel cristiano e include, attraverso l’uomo, l’intera creazione. Il culto spirituale (logikè latreía), con il suo pieno realismo corporale, non riguarda soltanto il cristiano, ma include al tempo stesso tutta la creazione (cf. Rm 12,1-2).

1.3 I padri della chiesa sono stati molto presenti alle nostre meditazioni teologiche sull’“uomo guardiano della creazione”. Il titolo dato alla conferenza su sant’Ireneo di Lione rispecchia un aspetto fondamentale del loro sguardo sull’economia della salvezza: la natura ferita e guarita, nell’uomo, e a causa dell’uomo nella creazione tutta intera. Il Figlio, il Verbo incarnato, è divenuto l’asse, il perno centrale che attira il tempo e lo spazio che lo precedono, ma che al tempo stesso li proietta verso il loro compimento. Questo stesso compimento è l’arché, il “principio” cristico: non soltanto l’universo antropocentrico, quanto piuttosto il Cristo Gesù teandrico, e ancora la storia della creazione.

San Massimo il Confessore orchestrerà alla sua maniera, più speculativa, ma non meno penetrante, questa inclusione della natura, abbandonata alla morte e salvata sulla croce dal sangue del Figlio, nel dramma della salvezza degli uomini.

La bellezza della natura ha stimolato la preghiera dei monaci e delle monache. Tra i padri siriaci sant’Efrem e sant’Isacco, attraverso l’idea della compassione universale, tra gli spirituali bizantini san Pietro Damasceno, e altri ancora, hanno lodato e glorificato il Signore, meravigliandosi dinanzi alla bellezza della creazione. Ci ricordano al tempo stesso che questo sguardo che scopre la bellezza della natura è proprio di un cuore già purificato dal peccato. Sguardo dell’asceta e del cristiano purificato dalla luce della trasfigurazione.

1.4 Le celebrazioni liturgiche educano la nostra intelligenza e la nostra sensibilità ad assumere questo medesimo sguardo, lodando il Dio misericordioso e implorando la sua misericordia su di noi e sul mondo.

Tra le innumerevoli iscrizioni dell’uomo credente che plasma nel suo spazio ambiente la storia della propria salvezza, abbiamo potuto ammirare la meditazione, o meglio la sinfonia visuale dei monasteri della Moldavia.

1.5 Due tavole rotonde hanno dato concretezza alle nostre riflessioni. La prima, dedicata ai monaci e la creazione, ci ha mostrato attraverso una serie di esempi storici e contemporanei, come i monaci ortodossi e latini riuscissero a trasformare e adattare un ambiente inizialmente ostile. Ricordiamo il monastero di Solovki, dei monaci del circolo polare artico nella penisola di Kola, dei cisterciensi, dei monaci del deserto egiziano, di Siria, di Palestina…

È qui che va ricordato che l’ascesi cristiana è una forza positiva di liberazione dell’uomo. Ci è stato sovente ricordato e ci sarà modo di approfondirlo. Ascesi fisica ma anche ascesi mentale, come ci ha ricordato il metropolita Filaret di Minsk, facendo allusione all’inquinamento dei pensieri e degli spiriti.

La seconda tavola rotonda si è concentrata sulla responsabilità etica che incombe all’uomo custode della creazione. L’ascesi è una risorsa classica. Quale parte deve avere non soltanto nella nostra vita personale, ma anche a livello degli stati e delle istituzioni internazionali?

Ci sono state presentate le riflessioni dei teologi ortodossi contemporanei: lavoro promettente, che deve essere proseguito in sinergia con gli scienziati, come ci ha mostrato dal dottor Antoine Courban.

1.6 Menzioniamo infine le meditazioni teologiche così stimolanti dell’arcivescovo Antonij di Boryspil e di padre John Chryssavgis, che abbiamo appena ascoltato, cui va aggiunta la conferenza su padre Sergij Bulgakov di Pavel Gavrilyuk, che rimpiangiamo che non abbia potuto essere tra noi.

2. Dopo questa breve rassegna, permettetemi di proporvi qualche riflessione, che non hanno altro fine se non quello di stimolare la meditazione e la ricerca ulteriori. Al tempo stesso chiedo la vostra indulgenza per la loro forma ancora frammentaria e incoativa.

Ci sia concesso allora di indicare qualche suggerimento per ulteriori approfondimenti dei temi del convegno.

2.1 La sacra Scrittura afferma che la disobbedienza del popolo di Dio ai comandamenti provoca la collera divina. Dio rifiuta alla terra di produrre i suoi frutti (Dt 28). Il castigo di Dio non ha tuttavia altro fine che la conversione del popolo (Am 4,4-12). “La terra diventerà un deserto a causa dei suoi abitanti, questo sarà il frutto della loro condotta (Mi 7,13; cf. Sap 1,18). Ancora, l’ingiustizia che opprime i poveri è all’origine delle catastrofi naturali (Am 8,4-8). In altre parole: la natura è solidale con l’uomo, soprattutto con i poveri. Abbiamo avuto un’eco di questa convinzione nella memoria del terremoto a Costantinopoli (26 ottobre). Non va dimenticata questa connessione intrinseca tra degradazione dell’ambiente e assenza di giustizia verso i poveri.

2.2 L’umano è l’anello che lega la creazione a Dio, un “laboratorio” della comunione cosmica. È il centro d’interesse del Creatore. Questo dovrà aiutarci a non scivolare verso forme d’idolatria della natura. Essa è al servizio della salvezza e dell’essere dell’uomo; è solidale alle sue infelicità. Essa è sacra perché può diventare luogo teofanico, come il roveto ardente (Es 3). L’uomo, illuminato dal Verbo incarnato, con gli occhi della fede, può leggere il libro della creazione. Può leggerlo se è capace di meravigliarsi davanti alla natura (thaumastikôs échein), come si meravigliano i filosofi e gli scienziati autentici. Evagrio il Pontico riporta che sant’Antonio il Grande avrebbe detto a dei filosofi pagani che erano venuti a vederlo, spinti dalla curiosità: “Il mio libro, o filosofi, è la natura degli esseri, ed è qui presente quando voglio leggere le parole di Dio” (Trattato pratico 92, sc 171, p. 695).

2.3 I padri hanno illustrato la trascendenza dell’uomo rifacendosi al paradigma dell’uomo microcosmo. Non è tanto l’uomo a essere una sintesi degli elementi dell’universo, quanto piuttosto il cosmo è un’espansione del capolavoro di Dio, l’uomo (cf. salmo 8), poiché il Figlio è divenuto uomo e non angelo. Un testo di san Gregorio di Nazianzo basterà a ricordare quest’intuizione fondamentale dell’antropologia cristiana (ma si veda anche La creazione dell’uomo di Gregorio di Nissa):

Il Verbo Artigiano organizza un essere vivente composto di due, intendo dire la natura visibile e la natura invisibile: è l’uomo. Trae il corpo dell’uomo dalla materia già prima creata, e prende in Se stesso una vita che mette nell’uomo, cioè un’anima spirituale e un’immagine di Dio; poi quest’uomo, un secondo cosmo, grande nel piccolo, lo mette sulla terra come un altro angelo, un adoratore formato da elementi diversi, un contemplatore della creazione visibile, un iniziato della creazione invisibile, un re di ciò che è sulla terra, suddito di ciò che è in alto, terrestre e celeste, effimero e immortale, visibile e intelligibile, intermediario tra la grandezza e la bassezza, a un tempo spirito e carne: spirito per l’azione di grazie, carne per l’orgoglio, l’una cosa affinché viva per sempre glorificando il suo creatore, l’altra perché soffra e soffrendo si ricordi di sé e sia educato se aspira alla grandezza; e vivendo quaggiù, guidato dalla provvidenza e in cammino verso un altro mondo, colmo di mistero per essere teso verso Dio, diventi Dio. In effetti, la luce della verità, misurata di quaggiù, mi porta a desiderare la visione e l’esperienza di uno splendore di Dio che sia degno ci colui che mi ha legato alla carne, che me ne libererà, e che di nuovo mi legherà a ciò che è sublime (Discorsi 38,11).

2.4 Perché abbiamo appena accennato, nel corso di questo convegno, alla creazione invisibile di Dio? Dio crea degli esseri visibili e invisibili (per noi). Eppure la liturgia ci ricorda costantemente la loro presenza tra di noi. “Io ti canto alla presenza degli angeli”, prega il salmista. Secondo un’interpretazione comune dei padri, il Figlio è disceso sulla terra per cercare la centesima pecorella smarrita, l’umanità, e la riporta sulle sue spalle umane tra i novantanove cori angelici. È opportuno ricordarsi che gli angeli e gli spiriti sono inclusi nell’economia di Dio, anche se i teologi forse fanno fatica ad accettare che la creazione invisibile assomigli a quelle vecchie carte geografiche su cui era segnato: terra incognita, e vi erano disegnati animali immaginari. Una lezione di modestia ci viene dagli scienziati, dinanzi ai misteri della natura. San Gregorio di Nissa ce lo ricorda commentando il salmo 150: “… la più alta cima dei beni … Questa cima è la lode di Dio che si realizza in tutti i santi, come indica l’ultimo salmo con queste parole: ‘Lodate Dio nei suoi santi’”. La lode “imita l’armonia dell’universo con la varietà e la diversità delle virtù e diviene per Dio ‘uno strumento’ accordato al ritmo di una melodia”. E ancora, commentando il versetto “Lodate il Signore con cimbali squillanti” (Sal 150,5a), scrive:

In effetti, un tale concorso, intendo dire quello del mondo angelico e del mondo umano, quando la natura umana sarà restituita alla sua condizione originaria, produrrà questo dolce suono dell’azione di grazie attraverso l’incontro degli uni e degli altri e, attraverso gli uni e gli altri, come con gli uni e con gli altri, celebrerà dappertutto un inno per rendere grazie a Dio della sua amicizia verso l’umanità. È questo che mostra, in effetti, il concorso del cimbalo con il cimbalo: un cimbalo è formato dalla natura sopraterrestre degli angeli, l’altro dalla creazione razionale degli uomini. Ma il peccato ha separato l’uno dall’altro. È dunque quando l’amicizia di Dio per l’uomo li riavvicinerà di nuovo tra loro che i due, di concerto l’uno con l’altro, faranno risuonare questa lode, come dice anche il grande apostolo: “Ogni lingua confesserà nei cieli, sulla terra e sotto terra, che Gesù Cristo è Signore a gloria di Dio Padre” (Fil 2,11) … quando tutta la creazione, quella degli esseri dell’alto e di tutti gli esseri del basso sarà accordata in un coro unico, e quando al modo di un cimbalo, la creazione intelligibile e quella che, oggi, se ne trova separata e divisa dal peccato, produrranno grazie all’accordo delle nostre voci il giusto suono … (Sui titoli dei salmi I,ix, 27-28).

2.5 L’ascesi, con le sue dimensioni multiple, è apparsa come un imperativo essenziale nella custodia della creazione da parte dell’uomo. Ascesi personale e ascesi collettiva. Noi sappiamo molto bene, anche se la pratichiamo male, ciò che implica l’ascesi personale, ma ignoriamo pressoché tutto delle regole di un’ascesi comunitaria. Le risposte classiche dell’ascesi personale e comunitaria a scala ridotta sono la moderazione, contentarsi del necessario, non invidiare il necessario di cui l’altro ha bisogno, la condivisione …

Ma la scala della crisi è cambiata. Non è più locale o regionale, ma mondiale e globale. Noi sappiamo ormai che i modelli di sviluppo economico che noi subiamo (e favoriamo) sono insostenibili. La terra è devastata, le ricchezze sono concentrate, la povertà di tanti uomini e donne sfigura la loro dignità umana.

I teologi dovranno senza dubbio praticare l’ascesi dell’ascolto dei semplici e degli uomini di scienza.

Anzitutto dei semplici. Vorrei raccontarvi la storia che più di trent’anni fa mi ha raccontato un amico, eminente linguista, impegnato a studiare le lingue degli indiani dell’Amazzonia.

Un giorno si doveva recare da una tribù a un’altra, attraversando la foresta. La guida indigena, vedendolo affaticato per la lunga marcia, gli chiese se avesse sete. Alla sua risposta affermativa, si arrampicò su un albero di cocco e ne ridiscese con una noce. La aprì e gli diede da bere. dopo che ebbe bevuto, gli chiese ancora: “Hai ancora sete?”. Rispose: “Sì”. Allora l’indiano salì una seconda volta e gli diede un’altra noce. “Hai ancora sete?”, gli chiese . “No”, rispose il linguista, e domandò a sua volta: “Perché sei salito due volte sull’albero, invece di scuoterlo e farne scendere le noci?”. L’indiano rispose: “Perché chi passerà ancora di qui abbia qualcosa da bere”. La grande sapienza dei semplici è accontentarsi del necessario.

Vi propongo un altro esempio, tratto dai padri del deserto. Neanche i santi dimenticano la vita quotidiana degli uomini. Lo testimonia questo apoftegma attribuito a san Macario l’Egiziano, cui anche il professor Dimitrios Moschos ha fatto allusione nella sua relazione:

Una volta Macario l’Egiziano venne da Scete sul monte di Nitria per partecipare all’eucaristia celebrata da abba Pambo. Gli dissero gli anziani: “Padre, di’ una parola ai fratelli”. Ed egli disse: “Finora io non sono diventato monaco, ma ho visto dei monaci. Una volta me ne stavo nella mia cella a Scete e i pensieri cominciarono a importunarmi dicendo: ‘Va’ nel deserto e osserva ciò che vedrai là!’. Combattei il pensiero per cinque anni, dicendo: ‘Forse viene dai demoni’, ma poiché il pensiero persisteva, andai nel deserto e là trovai un lago con un’isola nel mezzo e le bestie del deserto venivano là a bere. E in mezzo ad esse vidi due uomini nudi. Il mio corpo cominciò a tremare perché pensavo che fossero spiriti. Quelli, vedendomi impaurito, mi dissero: ‘Non ti spaventare, siamo uomini anche noi!’. Dissi loro: ‘Di dove siete? Come siete venuti in questo deserto?’. Dissero: ‘Veniamo da un cenobio e fummo d’accordo sul venire qui quarant’anni fa. Siamo l’uno egizio e l’altro libico’. Anch’essi fecero domande: ‘Come va il mondo? Scende la pioggia a tempo dovuto? Il mondo gode della solita abbondanza?’. Risposi loro: ‘Sì’, e domandai a mia volta: ‘Come posso diventare monaco?’. Mi dissero: ‘Se uno non rinuncia a tutte le cose del mondo, non può diventare monaco’. Dissi loro: ‘Io sono debole e non posso vivere come voi’. E quelli: ‘Se non puoi vivere come noi, rimani nella tua cella e piangi i tuoi peccati’. Chiesi loro: ‘Quando giunge l’inverno, non avete freddo? E quando viene l’estate, non brucia il vostro corpo?’. Risposero: ‘Dio ha disposto questo per noi: d’inverno non abbiamo freddo, d’estate il caldo non ci fa del male’. Per questo – concluse abba Macario – vi ho detto che non sono ancora divenuto monaco, ma che ho visto dei monaci. Perdonatemi, fratelli” (Macario l’Egiziano 2).

In ascolto degli uomini di scienza. La teologia non risponde a tutto, può offrirci una visione giusta dell’uomo, di Dio, della creazione. Ma noi abbiamo bisogno di uomini e donne che lavorino giorno dopo giorno per trovare risposte alternative e responsabili alla crisi ecologica. Abbiamo l’umiltà di ascoltarli. È indubbiamente uno dei modi dell’ascesi del xxi secolo.

2.6 Avremmo dovuto senza dubbio prestare più attenzione all’opera dello Spirito santo. Nell’intertempo tra la resurrezione del Messia e la sua seconda venuta, lo Spirito compie (teleioûn) l’opera della salvezza che il Padre ha affidato al suo Figlio. Non è un caso che il grande salmo della creazione (Sal 103 lxx) domandi l’invio dello Spirito sulla creazione e sul lavoro degli uomini, affinché li rinnovi. Può l’uomo essere custode della creazione senza l’assistenza dello Spirito di Cristo?

2.7 Riprendiamo infine un auspicio già espresso dal metropolita Ioannis di Pergamo, all’inizio del convegno. Il servizio della preservazione e del risanamento dell’ambiente deve diventare ima diaconia comune delle chiese. Questa diaconia è un’opportunità che può associare le chiese avvicinandole all’umanità sofferente e alla natura sfigurata dal nostro peccato.

Oggi celebriamo la festa della natività della Madre di Dio, la santa Vergine Maria. È la prima grande festa dell’anno liturgico bizantino. Si potrebbe considerare questa festa come il germe, umile e nascosto, che Dio depose nel suo popolo eletto. Prepara una terra vergine, in cui plasmare il nuovo Adamo, che sarà anche il suo proprio Figlio. Lo Spirito santo è all’opera per edificare a nuova arca dell’alleanza e il tempio che sarà il corpo del Messia resuscitato. Le grandi meraviglie della nostra salvezza, scriveva già Ignazio d’Antichia, si operano nel silenzio, questa assicurazione è la nostra speranza. Anche la creazione “nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,20-21).

Sperare la salvezza di Dio, sperare nell’uomo, non è forse questa la testimonianza che i cristiani sono chiamati a dare insieme al mondo?

Conclusioni lette a nome del comitato scientifico
da MICHEL VAN PARYS

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