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Mulheres enamoradas de Deus


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In questa ideale galleria di donne innamorate di Dio sfilano figure non di rado emozionanti, a cominciare dalla prima ricordata, Macrina, sorella di un altro grande Gregorio santo, il vescovo di Nissa in Cappadocia, che ne scrisse la biografia, e di un altro importante personaggio di quella Chiesa, san Basilio. «Con te anche la notte era illuminata come il giorno», la piangeranno le sue compagne monache sul letto di morte, donne aristocratiche ed ex-schiave che vivevano assieme a lei nella tenuta familiare di Macrina, trasformata in oasi spirituale. E poi c'è Sincletica, celebrata negli Acta sanctorum come «la perla ignorata da molti», una patrizia di Alessandria d'Egitto, ritiratasi avita contemplativa in un «sepolcro», ossia in uno dei tanti edifici funerari egizi orientati verso il Nilo. Potente nel suo ritratto biografico abbozzato da un altro grande della cristianità alessandrina, sant'Atanasio, la rappresentazione del suo crepuscolo nel disfacimento fisico: divenuta un agnello sacrificale afono come il Servo messianico cantato dal profeta Isaia (53,7), fissa lo sguardo sull'Invisibile perché «le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne».

E poi c'è il curioso (ma non unico) caso - dai contorni leggendari, ma dalla sostanza storica - di Maria «travestita» da uomo fino ad assumere il nome di «Marino» per poter entrare in monastero col padre vedovo, divenuto monaco. Parlavamo di matrice storica perché un concilio locale celebrato a Gangra (Turchia) nel 345 aveva emesso questo anatema contro una prassi tutt'altro che insolita: «Se una donna, per presunta ascesi, si taglia i capelli... e, al posto del consueto abito femminile, indossa quello maschile, sia anatema!». La provocazione di Maria-Marino, seguita da altre donne, riflette indirettamente il contesto maschile allora dominante a cui non si riusciva a proporre da parte femminile altra alternativa se non la sua imitazione. A questo proposito Lisa Cremaschi nell'introduzione alla sua antologia giustamente s'interroga: «Cercare la parità di diritti con l'uomo negando l'alterità è una via di liberazione per la donna? Non è forse soltanto un'ulteriore affermazione dell'inferiorità della donna che per potersi realizzare dovrebbe imitare la "superiorità" dell'uomo, diventare ciò che non è, negando la propria alterità?». È un po' in questa luce, prescindendo dalle questioni strettamente teologiche, che si dovrebbe impostare a livello generale la spinosa questione del dibattito sul sacerdozio femminile e, più in generale, quello del rapporto uomo-donna e della teoria del gender.