Memória de Igor Mitoraj (1944 – 2014)

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Nella notte di lunedì 6 ottobre Igor Mitoraj è passato da questo mondo al Padre, e a noi manca già molto.

Alcuni fratelli di Bose lo hanno incontrato in varie occasioni e più volte si è parlato al telefono con lui: sono stati momenti di grande e indimenticabile forza, di limpida intensità. L’incontro più spontaneo e informale con Igor Mitoraj, come accade con ogni vero essere umano, era colmo di un vago timore: quello di non poter rivederlo mai più, di provare la nostalgia per una presenza sofferente e luminosa, sempre misurata nelle parole e prodiga di quello spirito di accoglienza per l’altro (un altro essere umano) che lasciava in te una traccia indelebile, una traccia d’amore.

Umanità, dunque: perché è sempre e solo l’uomo il protagonista di un’arte così evocativa, così potente e raffinata insieme. Un uomo che aveva dell’amicizia un senso altissimo e sacro e che è stato capace di elevare lo stile e la bellezza della sua arte fino a veicolare, nel suo tempo, la Grazia. Un uomo che ha narrato l’uomo, fino all’Uomo per eccellenza, il Cristo: come non ricordare il suo Cristo risorto che emerge in tutta la sua dynamis dagli spazi di morte, con il corpo traversato per sempre dalla croce, il segno dell’amore sofferente e vittorioso?

Quattro sono i tratti che in particolare abbiamo riconosciuto nella sua personalità: la modestia, che sfiorava la timidezza; la generosità, eco di una bontà raggiunta a caro prezzo; la sensibilità come vittoria sulla banalità, sulla volgarità e sull’abbruttimento; la finezza, come rispetto e attenzione al cuore segreto delle cose. Qualità così genuine e oggi così rare facevano di lui un uomo di una raffinatezza esclusiva, sempre sospesa su un altro piano di sensibilità. Eppure la sua altezza era naturale, mai figlia di affettazione o modi elitari. Ogni suo comportamento non era altro che il riflesso dell’essenziale. Il suo sorriso, forse velato di sottile tristezza, è divenuto nelle sue opere un canto perenne.

Ha amato molto sua madre, Igor Mitoraj, la stessa che gli aveva indicato Pietrasanta come la casa ritrovata. Il padre, invece, ha rappresentato per lui l’attesa per un incontro con l’altro che non avveniva mai, una sorta di assenza e presenza definitive.

Ha amato la sua nuova “casa” come una terra d’origine, pur cercandola in quella sete di assoluto che pervade tutta la sua opera. Anelava a quella pienezza o a quel vuoto che colmano tutte le ferite. Eppure gli squarci, le fasce e le bende sulle sue sculture ci dicono di una concezione dell’Altro e della relazione incentrata sulla domanda, sull’enigma che sempre sorvola il porto della quiete.

Lo abbiamo sempre ringraziato per la sua umanità e per la sua arte così congiunta a una spiritualità autentica. Quasi non credeva alle nostre parole, ma le accettava, acconsentendo al nostro dono in silenzio.

Ci chiedeva di ricordarlo nelle preghiere: lo abbiamo sempre fatto e ora lo sentiamo nel riposo e nella pace senza fine.

La ferita della sua morte non è dolore cieco. Porterà con sé la luce e il desiderio di elevarci sempre: è questa la sua eredità. Ci diceva che la bellezza deve essere bella, che la bellezza deve elevare. Come l’incontro con lui: rende più umani e al tempo stesso trascina molto in alto.

Mitoraj era ed è un vero portatore dello spirito.

Bose, 6 ottobre 2014

 


© Giovanni Ricci - Novara
© Giovanni Ricci - Novara

Lunedì 13 ottobre 2014 si sono svolti nel duomo di Pietrasanta (LU), in un clima di commossa partecipazione, i funerali di Igor Mitoraj, ai quali il priore Enzo ha inviato un fratello in rappresentanza della comunità. Alla fine della liturgia, subito prima del congedo, è stato invitato a prendere brevemente la parola:

Porto il saluto affettuoso del priore Enzo Bianchi e della comunità monastica di Bose a Igor e a voi tutti.
Abbiamo sempre ringraziato Igor, ogni volta che ci siamo visti e sentiti, per il valore autenticamente spirituale della sua arte, e in questi giorni ci siamo chiesti quali fossero i cardini della sua spiritualità...
Anzitutto l’ascolto. Chi avvicinava Mitoraj aveva la sensazione fisica di essere ascoltato in profondità: uomo di poche, misurate parole, aveva una fortissima capacità di accoglienza.
E poi il silenzio: un silenzio che avvolgeva la sua vita, perché la vita di Mitoraj era tessuta di alti e prolungati silenzi, che erano lo spazio della sua meditazione, della sua ispirazione, e anche dell’incontro con Dio.
Da questi silenzi usciva la sua parola, ma soprattutto provenivano le sue opere.
In questo silenzio si è consumato anche qualcosa di molto nascosto e discreto: il suo incontro, la sua contemplazione di Cristo, da cui, dobbiamo dirlo, è scaturita una delle ricerche teologiche recenti più originali.

Mitoraj ne parlava molto poco, anche perché forse questo era il suo mistero.

È sufficiente rivedere, sulla porta della Basilica di Santa Maria degli angeli e dei martiri alle Terme di Diocleziano a Roma, il Crocifisso risorto, traversato integralmente dalla croce, non segno esterno, ma forma della sua viva carne, che esce dalle tenebre: una figura a volto scoperto ed occhi che ti fissano intensamente; senza più le bende che significavano il dolore della relazione, perché ormai in lui, Amore sofferente e vittorioso, ogni relazione è luce e pace.

Questa meditazione sul Risorto ha avuto nei suoi ultimi anni una progressione, si è dilatata, è divenuta sempre più grande… nella scenografia voluta da Mitoraj per il Requiem di Verdi all’arena di Verona nel 2013 campeggia sullo sfondo un grandioso Crocifisso risorto, e anche nella lunetta dell’Annunciazione sulla facciata di Sant’Agostino appena fuori da questo Duomo, l’angelo dell’annuncio a Maria è piccolissimo e marginale, orientato anch’egli al Crocifisso risorto che avanza trionfale nel giardino della resurrezione, ed è il vero centro della composizione: tutto è ordinato a lui. Sì, la sofferenza esiste, però non è l’ultima parola, che invece è l’amore, che vince la morte. E questo si può leggere anche nella testa di Giovanni il Battista, un soggetto molto amato da Mitoraj, reclinata nella pace, irradiante luce, eros diventato ormai acqua viva.
Il Crocifisso risorto è il mistero nascosto nei secoli eterni… ma è anche il mistero di Igor Mitoraj.
Nei Musei vaticani è conservata una sua scultura che rappresenta due mani giunte: invocazione a Dio che unisce cielo e terra, con un’altissima asta verticale stretta tra le mani…stretta umanissima per impedire all’amico di andarsene.
Noi siamo qui oggi in quelle mani che si stringono: la stretta di Igor a noi, la nostra a lui, ma anche quella tra di noi, negli innumerevoli fili di relazioni che lui ha intrecciato.

Sale un ringraziamento al Signore e a Igor Mitoraj per aver seminato tanta bellezza sulla terra, una bellezza che crea ogni comunione, come dicevano i Padri. Un grazie per l’intensità delle sue opere, per la loro forza appellativa, per la esigenza di conversione che ci pongono: ci rendiamo conto, nel contemplarle, che non possiamo più restare quelli di prima, sono opere che ci affidano un compito, che ci dicono che la nostra vita può diventare migliore. Ci guardano, ci interrogano, ci mettono in cammino, ci educano. Mitoraj ha restituito al fascino il suo potere costruttivo e non alienante, e la sua arte è una chiamata dall’alto, e in alto.

Caro Igor, ora che sei per sempre con il Risorto che hai tanto cercato, in quella pienezza che hai tanto desiderato, oltre ogni ferita e lacerazione, continua a intercedere silenziosamente per noi, perché ci siano dati forza, coraggio, silenzioso e creativo amore!