Praticare la gioia

 

 

Castello di Rothenfels - Baviera, 1921

Romano Guardini
Romano Guardini
Caro giovane,
vogliamo far sì che il nostro cuore divenga lieto.

Non allegro, che è qualcosa di completamente diverso. Essere allegri è un fatto esterno, rumoroso, e presto si dissolve. La gioia invece vive nell'intimo, silente, è profondamente radicata. Essa è la sorella della serietà: dove è l'una è anche l'altra.

Si dà certamente una lieta gioia sulla quale non si ha alcun potere. Quella gioia che investe qualcuno, grande, profonda: di essa dice la Sacra Scrittura che è come un fiume; oppure quella ridente gioia che trasforma ogni cosa, così che il mondo è tutto illuminato; essa viene e va, a piacer suo. Non si può far altro che accettarla quando viene ed avvertire la sua mancanza quando se n'è andata. C'è, o non c'è…

Aprirsi una strada...

Ma qui si deve parlare di quella lieta gioia verso la quale è possibile aprirsi una strada. Ciascuno la può possedere, allo stesso titolo, qualunque sia la sua natura. Essa deve anche essere indipendente da ore buone o cattive, da giorni vigorosi o stracchi. Noi vogliamo qui meditare sul come si può aprire ad essa la via!

Non proviene dal denaro, da una vita comoda, o dal fatto d'essere riveriti dalla gente, anche se da tutto questo possa essere influenzata. Viene piuttosto dalle cose nobili: da un lavoro intenso; da una parola gentile, che si è sentita o si è potuta dire; dal fatto di essersi opposti coraggiosamente all'errore di qualcuno, o di aver raggiunta una veduta chiara in una questione importante. E anche questo non è ancora la vera fonte della gioia, ch'è radicata ancora più profondamente, cioè nel cuore stesso, nella sua più remota intimità. Ivi abita Dio e Dio stesso è la fonte della vera gioia. Essa ci rende internamente aperti e chiari. Ci fa ricchi, forti, indipendenti dagli eventi esteriori. Ciò che ci accade dal di fuori non può più toccarci, se noi siamo internamente lieti. Chi è lieto pone ogni cosa nella sua esatta ubicazione. Le difficoltà, gli ostacoli, li riconosce come prove per la sua forza, li affronta coraggiosamente e li vince. Egli può donare generosamente agli altri uomini e non diventa povero per ciò. Ma ha anche la schiettezza di cuore, per poter ricevere nel modo dovuto.

Orientare la volontà

Ora, se la gioia viene da Dio e Dio ha sede nel nostro cuore, perché non la sentiamo? Perché siamo tanto spesso tristi, scoraggiati, di cattivo umore? Perché non è in luce la fonte da cui essa zampilla? Come si apre la strada alla gioia? Come si può far si ch'essa fluisca nell'anima? Questo è il problema.

Noi dobbiamo avvicinare a Dio ciò che di più intimo è in noi. E può avvenire in diversi modi. Si potrebbe aspirare ad una profonda intimità con Dio; rivolgersi spesso a lui con tutta l'anima e poi essere presso di lui in profondo silenzio. Forse tu conosci altre strade. Io vorrei proporti la seguente, perché su di essa è un bellissimo andare.

Ciò che di più profondo vi è in noi, è il modo delle nostre intenzioni. Se siamo di necessità una sola cosa con Dio, allora la sua gioia può fluire in noi. Ogni volta che sinceramente diciamo al Signore: “Signore, io voglio ciò che tu vuoi” è aperta la via verso la gioia di Dio. E una volta che siamo disposti a pensare sempre cosi, se il nostro più intimo volere è  sincero ed è volto continuamente a Dio, allora noi saremo lieti, accada quello che vuole nel mondo esterno.

Un passo dopo l'altro

Ma come scorgiamo che cosa Dio vuole? Non abbiamo bisogno per ciò di profonde meditazioni o di grandi piani. Lo vediamo in ogni cosa, anche la più comune: nell'attimo presente. È anche necessario, talvolta, prendere grandi decisioni o fare piani lungimiranti. Proprio a questo serve l'istante. Noi ci possiamo tenere ben fermi al caso: ciò che appunto in questa situazione è necessario, ciò che appunto ora è mio dovere, questo è il volere di Dio. Se noi lo compiamo, Dio ci guida dall'una all'altra azione. Poiché quell'istante, col suo dovere, è un annuncio di Dio. Se lo ascoltiamo, diventiamo maturi per comprendere ed adempiere il messaggio successivo. Così portiamo a termine, un passo dopo l'altro, l'opera della nostra vita.

Dunque: intendere chiaramente ciò che Dio vuole ora da noi. Rispondergli francamente un energico sì e accingerci risolutamente. Allora saremo lieti. Più volte al giorno, per  esempio prima di un lavoro o quando sopraggiunge qualche cosa di nuovo, domandiamoci: che cosa vuole Dio da me? Per poterlo riconoscere, osserviamo ciò che sta proprio davanti a noi. Non cerchiamo ciò che ci conviene o che noi preferiremmo. Ma domandiamoci lealmente: che cosa devo fare ora? A questo dobbiamo rivolgere la nostra attenzione, e non lasciarci trarre in inganno. Lasciarci trarre in inganno? E da chi? Da noi stessi. Dal capriccio, dalla volubilità, dall'indolenza verso noi stessi. Noi dobbiamo diventare inflessibili. Dobbiamo avere velocità nel vedere ben chiaro come la cosa sta in realtà. Quindi: io devo fare questo ora: Sì, Signore, volentieri. Quest'ultima parola decide tutto, è ciò che importa. Non a malincuore; non perché si deve; non zoppicando e fiacchi; ma volentieri.

La gioia del corpo

Ma noi abbiamo anche un corpo. Non lo possiamo dimenticare. Quando l'uomo è abbattuto che cosa fa il corpo? Si accascia. Ma se l'uomo è lieto, il corpo si erge. Questa è la gioia del corpo: un comportamento energico. Questo deve essere l'esercizio: mantenerci eretti. Il capo alto, la fronte aperta in piena luce, le spalle indietro. Sciolti nell'andare, e quando sediamo, non appoggiati senza necessità. Perciò dobbiamo essere eretti al di dentro, non solo esternamente. Il corpo vuol sempre lasciarsi andare; e preme su se stesso e tutto diventa ottuso e pesante. Perciò star diritti anche nell'intimo. E quando siamo abbattuti, proprio allora occorre tenerci eretti.

Aiutare la gioia

Ci si deve anche preoccupare di avere nella propria camera una sorgente di gioia. Che mai? Può essere una pianta viva. La pianta allieta perché in essa senza posa qualche cosa cresce, e verdeggia, e fiorisce. Oppure un quadro allegro, una veduta di paesi attraverso i quali una volta tu abbia vagabondato. Riempiti gli occhi di tale visione di tanto in tanto. Com'é ampio! Com'é fresco il bosco, e chiaro il cielo! Come sono libere le cime! Questo è mio, tutto mio. O una canzone. Cantala per te. E tutto in te si farà chiaro. O una bella poesia: agisce come una bevanda fresca in un lungo viaggio in mezzo alla polvere. E poi di nuovo all'opera!

Malumore e malinconia

Ancora uno sguardo ai grandi nemici della gioia. E tra quelli non è il dolore. Esso rende forti e profondi. Rende efficiente la gioia stessa. Ne parleremo un'altra volta. Ma ve ne sono due che si devono sterminare: il malumore e la malinconia. Il malumore deriva dalle piccole seccature quotidiane. Da un cuore suscettibile, che se la prende sempre a male, che non sa ridere, scusare, lasciar correre. Teniamoci lontano da tutto questo. È come avere degli insetti nocivi nell'anima. Bisogna spazzarli via e proprio dal principio, appena si mostrano, subito.

L'altro nemico è la malinconia. Una forza oscura che disgrega l'anima, se la lasciamo avanzare. Ma si può signoreggiarla, credilo, si può.  A una condizione tuttavia; appena si mostra, subito contro, non appena l'abbiamo avvertita. Ma subito, senza seguire il suo gioco! Se essa solo una volta si é infiltrata dentro di te, non ne sarai libero per tutto il giorno e forse neppure per parecchi giorni.

Un consiglio per la sera

Per concludere, ancora un piccolo consiglio: la sera, prima di coricarci, diciamoci con tranquillità e con fiducia: Domani sarò lieto. Rappresentiamoci come sarà il quadro di noi lieti, eretti, liberi, che procediamo durante il giorno, lavoriamo, parliamo, trattiamo con le persone. Questo sono io, domani. Diciamocelo più volte. È un pensiero produttivo, che opera tutta la notte, nell'anima, tacitamente, ma sicuramente. Non ce ne accorgiamo, ma al mattino tutto è  più splendente di ciò che  sarebbe stato di solito. E così ogni mattina, ogni sera, e non lasciamoci distogliere da alcun insuccesso. Il giorno, infine, se ne è andato. E allora esaminiamoci: mi sono dato da fare? Facciamo i nostri conti e poi prendiamo la nuova decisione: domani andrà meglio.

 Tratto da: Romano Guardini, Lettere sull'autoformazione, Brescia 1958


Queste righe fanno parte di una collezione di lettere che Romano Guardini (di famiglia italiana ma ben presto immigrato in Germania, dove passò tutta la vita) scrisse rivolgendosi ai giovani cristiani tedeschi del movimento Quickborn (“fonte viva”) che si ritrovavano, durante gli anni Venti, nel castello di Rothenfels, in Baviera. Guardini ne fu la guida dal 1920 lasciando in loro quella serena e profonda impronta formativa, soprattutto in senso spirituale, che lo farà emergere come uno straordinario educatore, suscitatore di ideali e di personalità libere e aperte. Le sue parole spronano ad assumere una visione nitida e responsabile del compito della vita e a vedere la gioia come un “serio” guadagno di un cammino di maturità e profondità.

Rivista communio dedicata a Romano Guardini (google books)

Per approfondire leggendo...
A. Jollien, Abbandonarsi alla vita
P. Durrande, L'arte di educare alla vita