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Funeral de Tommaso Padoa-Schioppa

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Porta della Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, Roma
IGOR MITORAJ, Cristo Ressuscitado

Roma, Santa Maria degli Angeli e dei Martiri
21 Dezembro 2010
Homilia de ENZO BIANCHI
Não se pode fazer outra coisa senão agradecer ao Senhor o facto de nos ter dado como Tommaso: um amigo, um cristão que sabia ler o bem comum

Roma, Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, 21 dicembre 2010

Omelia di ENZO BIANCHI

Giovanni 17,13-24; 1 Giovanni 3,11-16

Cari fratelli e care sorelle,
e voi tutti qui convenuti per dare un saluto, porre un segno di amicizia, di stima, di riconoscenza a Tommaso...

Tutti noi siamo stati raggiunti dalla parola del Signore contenuta nelle pagine lette della Sante Scritture. Tutti noi siamo in ascolto: voi ed io e anche Tommaso, che ascolta questa Parola in un faccia a faccia con Dio, in una comunione non più minacciata dalla morte, né dal male.

Io sono qui solo per essere un’eco, spero fedele, di questa Parola, sono qui perché ho condiviso con Tommaso il cammino della fede, della speranza in Gesù Cristo, soprattutto celebrando insieme negli ultimi anni il santo Triduo pasquale della morte e resurrezione del Signore; sono qui perché ho conosciuto con Tommaso e con Barbara il grande dono dell’amicizia.

Vorrei solo che tutti fossimo consapevoli di ciò che celebriamo, che tutti potessimo comprendere ciò che il Signore dice qui e ora: sì, noi celebriamo l’esodo da questo mondo al Regno di Dio di Tommaso – il quale è qui presente tra di noi, come cristiano che partecipa alla resurrezione di Cristo e la celebra – e ascoltiamo anche la Parola del Signore tratta dal Vangelo secondo Giovanni.

Durante quella cena fraterna fatta con i suoi discepoli, Gesù consegna loro un lungo discorso di addio, che conclude con una preghiera a Dio, colui che Gesù amava chiamare “Abbà, Padre”. È una preghiera che Gesù fa mentre lascia questo mondo e va al Padre, ma è una preghiera che Gesù continua a fare, è la sua attuale intercessione fatta per noi, per la sua comunità che è nel mondo... Una preghiera fatta apertamente, affinché i discepoli la conoscano e possano trovarvi motivi di gioia piena, possano trovarvi ragioni e consolazioni per quello che vivono nella storia, nel mondo, in piena solidarietà con gli uomini loro fratelli ma anche nella differenza cristiana, nella specificità della loro fede in Gesù Cristo e della loro appartenenza al Regno di Dio.

Gesù dice: “Padre, io ho dato loro la tua Parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo! Non ti chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno! Essi non sono del mondo come io non sono del mondo”. Sono parole insistenti, queste: verità che vengono ripetute e ridette, parole decisive per Gesù.

Gesù sa, è consapevole che ciò che “fa” i suoi discepoli, i cristiani, è la parola da lui data a loro, la parola di Dio che plasma, ispira, potremmo dire “crea” una vita differente: una vita che non sta più sotto l’egemonia del mondo – questa realtà che Giovanni chiama “kosmos” e che significa l’assetto, l’ordinamento ingiusto del mondo – ma una vita che mostra il primato della Parola di Dio, la signoria di Dio, mostra che veramente è Dio a regnare instaurando giustizia e pace.

Ma, ci testimonia tutta la Scrittura, là dove appare la giustizia, dove appare il “giusto”, ecco allora scatenarsi il mondo con la sua ingiustizia, fino all’odio: è l’odio che si è abbattuto su Gesù, che si abbatte su chi resta fedele al Vangelo. Per il cristiano appare dunque non facile questo stare nel mondo, stare nella storia senza esenzioni, nella compagnia solidale con gli uomini tutti e, nello stesso tempo, non restare preda del mondo, dell’ordinamento ingiusto del mondo. Duemila anni di tentativi di vita cristiana, di vita conforme al Vangelo lo testimoniano: “essere nel mondo ma non essere del mondo” significa stare in un equilibrio instabile e costantemente correggere la posizione, ritornare al cuore, mai sentirsi tranquilli, sempre convertirsi, perché significa servire il mondo e non servirsi di esso.

Eppure, proprio questo fa la differenza cristiana: questo credere, questa fede nell’amore. E proprio per questo – sempre Giovanni nella sua Prima lettera – definisce i cristiani come “quelli che credono all’amore”. Certo, quelli che credono in “Dio che è amore”, la definizione ultima e definitiva di Dio nel Nuovo Testamento, ma che comunque credono e iniziano a credere nell’amore umano, l’amore tra noi umani, uomini e donne.

Il mondo, nelle parole di Gesù, è l’ordinamento ingiusto, è l’odio, è la violenza! Ma il comando di Gesù è netto, non sic in vobis, “ma voi non così!”. Il messaggio di Cristo è infatti amore reciproco, l’amore che si esprime nello spendere la vita, nel dare la vita per gli altri, tutti fratelli e sorelle in umanità. Proprio perché si crede all’amore, nel cristianesimo si crede anche alla vita eterna, perché proprio l’amore vince la morte, solo l’amore è l’ultima parola, perché chi ama – è sempre Giovanni ad affermarlo – è passato dalla morte alla vita, chi ama fa l’esperienza di Dio in se stesso!

L’amore di Gesù per i suoi, narrato dal Vangelo che abbiamo ascoltato,  è vissuto fino all’estremo nel servizio, nel segno della lavanda dei piedi: il servizio, infatti, è il modo di essere nel mondo senza essere del mondo. Qui va ricondotta anche la testimonianza di Tommaso, come uomo e cristiano a servizio del bene comune. Era un uomo appartenente alla polis, coinvolto nelle vicende della polis, eppure distaccato, capace di una certa distanza che gli permetteva di tenere lo sguardo fisso sulla possibilità di un assetto, di un ordinamento più giusto, cioè meno ingiusto della società. Quando lo incontravo, mi veniva sempre in mente una parola di Dag Hammarskjöld, questo grande cristiano che fu segretario generale dell’ONU: “Merita il potere solo chi ogni giorno lo rende giusto!”. Lo stare nel mondo di Tommaso era obbediente alla logica paolina dell’entrare senza farsi assorbire, dell’abitare senza essere preda della propria costruzione... Per Tommaso l’arte della politica, alla quale si sentiva prestato, non era solo l’arte del possibile, ma l’arte di rendere possibile ciò che è giusto, ciò che è doveroso, ciò che è necessario all’umanizzazione e alla qualità della convivenza umana. Per questo era un uomo di silenzio, attento all’ascolto, aperto al pensiero degli altri, ricco di appassionata interiorità, capace di interrogare e di lasciarsi interrogare: in questo esercizio aveva raffinato le qualità della pazienza e della mitezza...
La custodia della nostra amicizia, la presenza di Barbara mi portano ora al silenzio...

Non c’è altro da fare ora che ringraziare il Signore di averci dato un uomo come Tommaso, un amico, un cristiano che sapeva leggere il bene comune e che, per realizzarlo, sapeva farsi servitore.

Sì, Deo gratias, a Dio il nostro rendimento di grazie!

ENZO BIANCHI