Vendredi saint


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Giuda è venuto con soldati, fiaccole, lanterne e armi, mentre Gesù gli risponde con un disarmo totale. Giuda è armato, ma significativamente il quarto vangelo ha il coraggio di dire che c’è anche un altro discepolo che è armato e ha con sé una spada. I vangeli sinottici non osano dire che quel discepolo è Pietro, mentre il quarto vangelo lo esprime chiaramente e, per testimoniare che non si inventa quell’identità, scrive anche con più precisione il nome del servo colpito, Malco. Pietro amava Gesù, lo amava certamente più degli altri, anche più del discepolo amato; il discepolo amato era oggetto dell’amore di Gesù, ma è Pietro colui che aveva un amore più grande per Gesù. Ma l’amore di Pietro non era intelligente, era un amore troppo egoistico, un amore che non gli permetteva di comprendere la necessitas umana per cui l’innocente, il giusto, può solo essere vittima, e così collocarsi dalla parte delle vittime: è l’unica possibilità per non collocarsi dalla parte dei potenti, dei violenti e, in definitiva, dei carnefici. Pietro non aveva capito, aveva rifiutato l’annuncio della passione di Gesù all’inizio della salita verso Gerusalemme, aveva rifiutato il gesto della lavanda dei piedi, aveva rifiutato anche la logica eucaristica del boccone dato a Giuda. Infatti solo il discepolo amato sapeva che quel boccone eucaristico era stato dato al traditore, lo sapeva da Gesù perché glielo aveva chiesto (cf. Gv 13,23-26), ma non lo aveva trasmesso a Pietro, partecipando così all’intelligenza di Gesù su Pietro. Pietro, in questa sua non intelligenza, non poteva fare altro che tirare fuori la spada e colpire il servo del sommo sacerdote. E Gesù gli fa semplicemente deporre la spada. Il calice che Gesù aveva donato ai suoi, il calice del suo sangue, questo calice – dice Gesù – «non devo forse berlo? È questa la mia vocazione». Qui abbiamo dunque la risposta data a Giuda: «Io sono, sono io», la consegna della propria identità che è anche sempre missione di cui si è o si dovrebbe essere consapevoli.

Poi Gesù risponde anche a Pietro, che nel suo amore aveva seguito Gesù dopo il suo arresto. Giovanni dice che l’aveva seguito con un altro discepolo. In quella sequela – non una vera sequela cristiana, ma comunque uno stare dietro a Gesù – era giunto fino alla porta del cortile del sommo sacerdote. Una giovane portinaia lo fa entrare, ma gli chiede se lui è un discepolo di quell’uomo che è trascinato davanti al sommo sacerdote. Pietro risponde: «Ouk eimí», «Non lo sono». Come Gesù aveva risposto: «Egó eimi», «Io sono, sono io», così Pietro risponde: «Non lo sono», non sono un discepolo di Gesù. Ecco il mancato riconoscimento di Gesù, mancato riconoscimento di colui che era stato il rabbi, il profeta nella cui vita Pietro era stato coinvolto. La roccia su cui Gesù aveva voluto edificare la sua comunità – e l’aveva fondata su Pietro, non su altri! –, proprio quella roccia nega di conoscere Gesù. Conosce solo se stesso, anzi non conosce nemmeno se stesso nella verità, perché la verità è che egli era un discepolo, un seguace di Gesù.